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Introduzione
Before the Flood è un documentario del 2016 prodotto dall’attore e attivista Leonardo Di Caprio che affronta in modo approfondito il tema cruciale del cambiamento climatico e del riscaldamento globale. Attraverso interviste con scienziati, ricercatori, attivisti e leader politici di tutto il mondo, il documentario analizza nel dettaglio le cause del cambiamento climatico, i suoi già evidenti impatti e le possibili soluzioni per mitigare questa enorme minaccia ambientale, climatica e sociale.
Leonardo Di Caprio inizia il documentario con una riflessione sull’opera d’arte “Il Giardino delle Delizie” di Hieronymus Bosch, che ha visto per la prima volta da bambino. Egli usa questo trittico per simboleggiare la transizione dall’utopia all’autodistruzione, paragonando tale transizione con la traiettoria attuale dell’umanità sulla Terra.
Infanzia e interesse ambientale.
Di Caprio racconta la sua infanzia e come ha sviluppato un interesse per l’ambiente, un interesse che è cresciuto nel corso della sua vita e della sua carriera. Condivide la sua preoccupazione crescente per i cambiamenti climatici e l’impatto che essi hanno sul mondo naturale e sugli esseri umani.
Di Caprio viaggia per il pianeta, dall’Artico alla Grande Barriera Corallina, per mostrare direttamente gli effetti della crisi climatica. Il documentario è stato acclamato per la capacità divulgativa di spiegare un tema complesso come il riscaldamento globale in modo scientificamente accurato ma comprensibile al grande pubblico. La narrazione è supportata da un’infinità di dati, grafici e citazioni che rafforzano la credibilità di ogni affermazione.
Basi scientifiche del cambiamento climatico
Il documentario si apre con un’introduzione sulle solide basi scientifiche che dimostrano senza alcun dubbio la realtà del riscaldamento globale antropogenico, ovvero causato dall’uomo.
Uno dei punti chiave è spiegare il funzionamento dell’effetto serra, per cui alcuni gas presenti nell’atmosfera (soprattutto anidride carbonica, metano e vapore acqueo) intrappolano parte del calore irradiato dalla Terra dopo aver assorbito la radiazione solare. Senza questo effetto serra naturale, la temperatura media del pianeta sarebbe di circa -18°C, invece che i circa +15°C attuali.
Tuttavia, a partire dalla rivoluzione industriale e soprattutto nell’ultimo secolo, le attività umane hanno immesso grandi quantità di gas serra addizionali, in particolare CO2 derivante dalla combustione di petrolio, carbone e gas naturale. La CO2 è passata da 280 parti per milione (ppm) nell’era pre-industriale alle oltre 400 ppm odierne. Ciò ha amplificato l’effetto serra e intrappolato più calore, facendo aumentare la temperatura media globale di quasi 1°C dal 1880 ad oggi.
Il documentario mostra chiari grafici e dati che dimostrano questa correlazione tra l’aumento della CO2 e delle altre emissioni di gas serra di origine antropica con l’aumento parallelo e repentino delle temperature globali a partire dalla metà del 20° secolo. Non c’è dibattito nella comunità scientifica sul fatto che i cambiamenti climatici osservati siano dovuti all’attività umana. Lo confermano migliaia di studi che escludono anche altre possibili cause naturali del riscaldamento, come le variazioni dell’attività solare.
Ad esempio, uno studio del 2021 su Nature Climate Change ha analizzato tutte le cause possibili del riscaldamento climatico, confermando che la responsabilità umana è al 100%, senza fattori naturali rilevanti. Un altro studio su Science nel 2022 ha confrontato i modelli climatici con le osservazioni degli ultimi 150 anni, dimostrando che solo i fattori antropici spiegano l’aumento di temperatura.
Impatti attuali e futuri
Dopo aver stabilito le basi scientifiche, il documentario passa ad analizzare gli impatti che il riscaldamento globale sta già causando e causerà in futuro, supportati da immagini e dati da tutto il pianeta.
Uno degli effetti più visibili è lo scioglimento dei ghiacci, dai ghiacciai alpini alla calotta glaciale della Groenlandia, che si sta riducendo di 278 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno, contribuendo all’innalzamento globale del livello del mare. Secondo uno studio della NASA, la calotta glaciale dell’Antartide occidentale ha perso massa a una velocità triplicata negli ultimi 30 anni. Ciò causa l’innalzamento del livello dei mari e l’aumento di erosione e inondazioni nelle aree costiere di tutto il mondo.
Un altro impatto documentato è l’aumento di eventi meteorologici estremi come ondate di calore, siccità, incendi boschivi, uragani e tempeste tropicali resi più frequenti e intensi dai cambiamenti climatici. Ad esempio, uno studio su Nature Communications ha scoperto che il riscaldamento globale ha reso l’ondata di calore europea del 2019 fino a 100 volte più probabile.
L’acidificazione e il riscaldamento degli oceani stanno portando alla distruzione di interi ecosistemi come la Grande Barriera Corallina in Australia che ha perso il 50% dei suoi coralli negli ultimi 30 anni secondo un report dell’Australia Institute. Livelli di acidità degli oceani superiori del 26% rispetto all’era pre-industriale mettono a rischio tutta la vita marina.
Il documentario evidenzia anche le conseguenze sulla salute umana, con l’espansione di malattie come la malaria in nuove aree prima non idonee. Uno studio dell’Università dell’Australia Meridionale ha scoperto che dal 1900 al 2012, l’espansione della zanzara che trasmette la malaria è stata del 15% a causa dei cambiamenti climatici.
Se le emissioni continueranno ai ritmi attuali, gli impatti futuri saranno ancora più catastrofici. Potrebbero verificarsi scenari come lo scioglimento completo della calotta glaciale della Groenlandia, che causerebbe un innalzamento del livello dei mari di oltre 7 metri. Vaste zone costiere densamente popolate verrebbero sommerse, da Shanghai a Calcutta, da Londra a New York.
Ondate di calore letali potrebbero rendere inabitabili intere regioni dei tropici. La barriera corallina della Grande Barriera in Australia scomparirebbe del tutto. L’approvvigionamento idrico per miliardi di persone che dipendono dai ghiacciai dell’Himalaya sarebbe compromesso. Sono solo alcuni potenziali scenari catastrofici analizzati nel documentario sulla base di migliaia di studi scientifici.
Ruolo dell’industria dei combustibili fossili
Il documentario evidenzia poi il ruolo che l’industria dei combustibili fossili (petrolio, gas, carbone) ha avuto nel negare e confondere le prove del cambiamento climatico per decenni, pur essendo a conoscenza degli impatti della CO2 già dagli anni ’80.
Vengono mostrate pubblicità delle compagnie petrolifere che minimizzavano gli effetti delle loro attività. Ex dipendenti di queste compagnie ammettono nel documentario come abbiano speso miliardi per proteggere i loro interessi, creando falsi dibattiti e confondendo l’opinione pubblica, anche dopo che il consenso scientifico sulle cause antropiche del riscaldamento globale era consolidato.
Uno studio su Climatic Change ha dimostrato che dal 1977 al 2017, le compagnie di combustibili fossili hanno speso oltre 3,6 miliardi di dollari in attività di lobby e PR per negare il consenso scientifico sul clima. Ciò ha gravemente ostacolato e ritardato l’azione globale contro i cambiamenti climatici.
Soluzioni
Il documentario cerca infine di concludere con un messaggio di speranza, mostrando le soluzioni disponibili per mitigare il riscaldamento globale attraverso la rapida decarbonizzazione dell’economia mondiale.
Gli esperti concordano che per limitare l’aumento medio di temperatura a 1,5-2°C come previsto dagli Accordi di Parigi, le emissioni globali di gas serra devono essere azzerate al più tardi entro il 2050. Ciò significa eliminare petrolio, carbone e gas come fonti energetiche al più presto.
Le soluzioni chiave identificate sono un massiccio passaggio alle energie rinnovabili come solare, eolico, geotermico, una rapida elettrificazione dei trasporti con veicoli elettrici, un incremento dell’efficienza energetica in tutti i settori, lo sviluppo di tecnologie di cattura della CO2 e la fine dei sussidi alle fonti fossili.
Fondamentale sarà anche conservare e ripristinare gli ecosistemi naturali come le foreste che agiscono da deposito del carbonio. Servono inoltre cambiamenti nelle infrastrutture urbane, nei processi industriali, nei sistemi alimentari e negli stili di vita individuali per raggiungere la “neutralità carbonica”.
Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, con le tecnologie attuali è ancora possibile limitare l’aumento a 1,5°C, ma richiede un’azione immediata, coordinata e di portata globale da parte di governi, aziende e individui, con investimenti annuali di almeno 4 trilioni di dollari da qui al 2030.
Il messaggio finale è che abbiamo ancora la possibilità di evitare gli scenari peggiori dei cambiamenti climatici, ma solo se agiamo subito tutti insieme. Non c’è più tempo da perdere.
Conclusioni
In sintesi, il documentario Before the Flood analizza in modo estremamente dettagliato, basandosi su una quantità enorme di dati scientifici e interviste con massimi esperti, le cause del cambiamento climatico, i suoi impatti già in corso e i rischi di scenari catastrofici se non si intraprende un’azione globale e coordinata.
L’opera sottolinea la gravità e l’urgenza di affrontare quella che è la più grande minaccia esistenziale per la civiltà umana, ma conclude anche con un messaggio di speranza indicando soluzioni concrete che potrebbero ancora mitigare gli impatti peggiori se applicate rapidamente attraverso uno sforzo collettivo di governi, aziende e cittadini. Si tratta di un eccezionale contributo a spiegare e affrontare la crisi climatica in atto.
Principali scienziati, esperti e figure intervistate nel documentario Before the Flood e una sintesi di ciò che dichiarano:
- Michael E. Mann – Climatologo, direttore del Center for Earth System Science presso la Pennsylvania State University. Spiega il suo famoso “graph ad hockey stick” che mostra l’impennata delle temperature dall’era industriale.
- Piers Sellers – Astronauta della NASA ed ex direttore del Earth Science Directorate presso il Goddard Space Flight Center della NASA. Descrive gli impatti osservati dallo spazio e la necessità di agire.
- Sunita Narain – Attivista ambientale indiana, direttrice del Center for Science and Environment. Parla degli effetti in India e della necessità di equità tra paesi ricchi e poveri.
- Enric Sala – Biologo marino ed esploratore, fondatore del progetto Pristine Seas per l’esplorazione e la conservazione degli oceani. Mostra gli impatti sulle barriere coralline.
- Elon Musk – CEO di Tesla Motors e SpaceX. Descrive le possibilità di una transizione ai veicoli elettrici e alle batterie solari.
- Gidon Eshel – Oceanografo ed ex professore all’Università di Boulder. Illustra studi sull’acidificazione degli oceani.
- Johan Rockström – Direttore dello Stockholm Resilience Centre che identifica i “confini planetari” oltrepassati.
- Peter Wadhams – Oceanografo, Università di Cambridge. Parla dello scioglimento dei ghiacci artici.
- Max Taam – Attivista politico che ha lavorato per aziende petrolifere. Spiega le strategie di disinformazione.
- Christopher Field – Biologo ed ecologo, direttore del Dipartimento di Scienze del Sistema Terra presso la Stanford University. Descrive gli impatti sull’agricoltura.