Energia Solare

L’energia solare rappresenta una delle fonti rinnovabili più promettenti e in continua espansione a livello globale. Questa energia, intrinsecamente pulita e inesauribile, deriva direttamente dal sole, una stella che funge da gigantesca centrale nucleare. Attraverso processi di fusione nucleare, il sole rilascia enormi quantità di energia sotto forma di luce e calore, parte della quale raggiunge la Terra, offrendoci l’opportunità di sfruttarla per produrre elettricità e calore.

Da dove deriva l’energia solare.

L’energia solare deriva dalla fusione nucleare che si verifica nel nucleo del sole, dove l’idrogeno si combina per formare elio, rilasciando in questo processo enormi quantità di energia. Questa energia viaggia attraverso lo spazio fino a noi sotto forma di radiazione solare. La quantità di energia solare che raggiunge l’atmosfera terrestre è di circa 1.366 watt per metro quadrato (W/m²), un valore noto come costante solare. Tuttavia, l’energia effettivamente disponibile sulla superficie terrestre è minore a causa dell’assorbimento e della riflessione da parte dell’atmosfera. In media, circa il 70% della radiazione solare penetra fino alla superficie, offrendo un’intensità che può variare da circa 100 a oltre 1000 W/m² a seconda delle condizioni atmosferiche, dell’angolazione dei raggi solari e della latitudine.

Sfruttamento dell’energia solare.

L’energia solare può essere sfruttata principalmente in due modi: per produrre calore (termico) e per generare elettricità (fotovoltaico).

Produzione di calore

  • Bassa Temperatura (l’acqua può raggiungere temperature da 45°C a 80°C): Viene utilizzata principalmente per il riscaldamento dell’acqua sanitaria e per il riscaldamento degli ambienti. Questo avviene attraverso i collettori solari termici, che assorbono la radiazione solare trasformandola in calore, poi trasferito all’acqua o a un altro fluido termovettore.
  • Alta Temperatura (temperatura superiore ai 400°C): Si sfrutta mediante la concentrazione della radiazione solare, utilizzando specchi o lenti, per produrre vapore ad alta pressione che può essere utilizzato per azionare turbine e generatori in centrali termosolari. Questa tecnologia permette di raggiungere temperature molto elevate, utili per la produzione di energia elettrica su larga scala.

Fotovoltaico

Il principio di funzionamento dei pannelli fotovoltaici si basa sull’effetto fotovoltaico, per cui la luce solare che colpisce alcuni materiali semiconduttori, come il silicio, genera una differenza di potenziale elettrico capace di mettere in movimento gli elettroni, producendo così corrente elettrica. Questa tecnologia permette di convertire direttamente l’energia solare in energia elettrica.

Effetto fotovoltaico: Alla base dei pannelli fotovoltaici c’è l’effetto fotovoltaico, scoperto da Antoine-César Becquerel nel 1839. Quando la luce colpisce un materiale semiconduttore (come il silicio), essa può trasferire energia agli elettroni del materiale, consentendo loro di muoversi liberamente e generare una corrente elettrica. Immaginate che ogni volta che la luce del sole colpisce qualcosa, possa trasformarsi in energia elettrica, un po’ come quando mettete le mani sotto al sole e sentite il calore, ma invece di calore otterrete energia per accendere luci, caricare il vostro smartphone o far funzionare la TV. Questo, in sostanza, è quello che succede con l’effetto fotovoltaico, ed è proprio il principio alla base dei pannelli solari che vedete sui tetti delle case o nei campi solari.

Per capire l’effetto fotovoltaico, dobbiamo fare un piccolo viaggio nel mondo dell’atomo, l’unità base di tutto ciò che ci circonda. Dentro ogni atomo c’è un nucleo, attorno al quale girano gli elettroni, un po’ come i pianeti girano attorno al Sole. I materiali usati nei pannelli solari, come il silicio, hanno una struttura speciale che permette agli elettroni di muoversi liberamente quando vengono colpiti dalla luce solare.

Quando la luce del sole, che come abbiamo detto è fatta di piccole particelle chiamate fotoni, colpisce il pannello solare, fornisce energia agli elettroni del silicio, “spingendoli” fuori dalle loro orbite attorno al nucleo. Questo movimento crea una corrente elettrica.

Ora, per raccogliere questa corrente e utilizzarla, i pannelli sono dotati di contatti elettrici su entrambi i lati, creando un circuito.

Impieghi del fotovoltaico

I pannelli fotovoltaici trovano applicazione sia in piccole installazioni residenziali sia in grandi centrali fotovoltaiche. Nel contesto delle centrali, i pannelli sono disposti su vaste aree e collegati tra loro per produrre elettricità su larga scala, che viene poi immessa nella rete elettrica.

Funzionamento di un pannello solare

Un pannello solare termico trasforma la radiazione solare in calore, che viene poi utilizzato per riscaldare un fluido. Questi pannelli sono composti da un assorbitore che cattura l’energia solare, un fluido termovettore che trasporta il calore, e un isolante che riduce le perdite di calore. Il calore generato può essere utilizzato per il riscaldamento domestico, la produzione di acqua calda sanitaria o in processi industriali.

I pannelli fotovoltaici, invece, convertono la luce solare direttamente in elettricità grazie all’effetto fotovoltaico. Sono costituiti da celle fotovoltaiche, tipicamente in silicio, che generano corrente elettrica quando esposte alla luce solare. L’elettricità prodotta è di tipo continuo e viene quindi convertita in corrente alternata tramite un inverter per poter essere utilizzata nelle reti elettriche domestiche o immesse nella rete elettrica nazionale.

Differenze tra pannello solare e fotovoltaico

La principale differenza tra i pannelli solari termici e i pannelli fotovoltaici risiede nel modo in cui sfruttano l’energia solare. I pannelli solari termici catturano il calore del sole per riscaldare un fluido, mentre i pannelli fotovoltaici trasformano la luce solare direttamente in elettricità. Entrambi contribuiscono a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, ma hanno applicazioni e tecnologie sottostanti diverse.

Rendimento dei pannelli solari e fotovoltaici

Il rendimento di un pannello solare indica la percentuale di energia solare che può essere convertita in calore (per i pannelli termici) o in elettricità (per i pannelli fotovoltaici).

  • Pannelli Solari Termici: Il rendimento può variare notevolmente, ma si aggira tipicamente intorno al 70-80% per la conversione della radiazione solare in calore.
  • Pannelli Fotovoltaici: L’efficienza media dei pannelli fotovoltaici si colloca tra il 15% e il 20%, con alcuni modelli ad alta efficienza che superano il 22%. Questo significa che un quinto dell’energia solare ricevuta viene convertita in elettricità.

Centrali solari vs centrali fotovoltaiche

Le centrali solari si distinguono principalmente in due categorie: termosolari e fotovoltaiche.

  • Centrali Termosolari: Utilizzano specchi o lenti per concentrare la radiazione solare su un punto o una linea, riscaldando un fluido fino a generare vapore. Questo vapore aziona turbine che producono elettricità. Sono caratterizzate dalla possibilità di immagazzinare il calore, consentendo la produzione di energia anche di notte o in condizioni di scarsa insolazione.
  • Centrali Fotovoltaiche: Sono composte da un insieme di pannelli fotovoltaici che convertono direttamente la luce solare in elettricità. Sono più semplici da installare rispetto alle centrali termosolari e possono essere realizzate in varie dimensioni, da piccole installazioni su tetti fino a grandi impianti al suolo.

Una centrale fotovoltaica è un impianto su larga scala progettato per convertire la luce solare in energia elettrica attraverso l’uso di pannelli fotovoltaici. È composta da diversi componenti chiave che lavorano insieme per catturare l’energia solare, convertirla in elettricità e trasmetterla alla rete elettrica. Ecco come è strutturata:

Il cuore di una centrale fotovoltaica è costituito dai pannelli fotovoltaici, che sono moduli contenenti celle fotovoltaiche. Queste celle sono realizzate principalmente in silicio e hanno la funzione di convertire la luce solare in corrente elettrica continua (DC) attraverso l’effetto fotovoltaico.

La quantità di energia prodotta da una singola cella fotovoltaica dipende da vari fattori, tra cui il materiale di cui è fatta (solitamente silicio), la sua efficienza, la dimensione della cella e le condizioni di illuminazione. Una cella fotovoltaica tipica può produrre circa 0,5 Volt di tensione elettrica. La potenza in watt (W) di una cella viene calcolata moltiplicando la tensione (in volt) per la corrente (in ampere) che la cella può fornire. Tuttavia, la quantità di corrente prodotta dalla cella dipende dalla sua area (le dimensioni) e dall’intensità della luce solare che la colpisce. Ad esempio, una singola cella fotovoltaica di dimensioni standard (circa 156 mm di lato per le celle in silicio cristallino) può produrre circa 2-4 Watt sotto condizioni di illuminazione standard (circa 1000 watt per metro quadrato, condizioni test standard per pannelli solari).

Pannelli e moduli fotovoltaici

Un pannello fotovoltaico, composto da più celle collegate in serie e/o parallelo, può aumentare significativamente la tensione e la corrente totale disponibili. Ad esempio, un modulo fotovoltaico tipico può avere tra 60 e 72 celle in silicio cristallino, producendo dai 200 ai 400 Watt di potenza sotto le stesse condizioni standard di illuminazione.

Stringhe di pannelli fotovoltaici

Le stringhe di pannelli fotovoltaici consistono in una serie di pannelli collegati in serie per aumentare ulteriormente la tensione totale. Collegando diverse stringhe in parallelo, si può incrementare la corrente complessiva. Un campo fotovoltaico può avere diverse stringhe di pannelli in base alla capacità energetica desiderata.

Campo fotovoltaico

Un campo fotovoltaico, o parco solare, è composto da molte stringhe di pannelli fotovoltaici collegate insieme. L’energia totale prodotta da un campo fotovoltaico dipende dalla quantità di pannelli installati, dalla loro efficienza e dalle condizioni ambientali (come l’intensità della luce solare, l’orientamento dei pannelli e la temperatura). Ad esempio, un campo fotovoltaico che copre un’area di 1 ettaro (circa 10.000 metri quadrati) potrebbe facilmente ospitare una potenza installata di 1 megawatt (MW), assumendo che ogni metro quadrato di pannello produca circa 100 watt e l’efficienza dell’installazione e l’orientamento dei pannelli siano ottimali.

Inverter

La corrente continua (DC) prodotta dai pannelli fotovoltaici non può essere utilizzata direttamente dalla maggior parte degli apparecchi domestici o immessa nella rete elettrica, che opera in corrente alternata (AC). Per questo motivo, è necessario convertire la DC in AC, e questa operazione viene svolta dagli inverter. Una centrale fotovoltaica può avere un grande inverter centrale o diversi inverter più piccoli distribuiti nell’impianto.

Sistemi di montaggio

I pannelli fotovoltaici sono installati su sistemi di montaggio che possono essere fissi o dotati di meccanismi di tracciamento solare. I sistemi fissi tengono i pannelli in una posizione costante, mentre i sistemi di tracciamento permettono ai pannelli di muoversi seguendo il percorso del sole nel cielo, aumentando così l’efficienza dell’impianto.

Stazione di Trasformazione e Connessione alla Rete

Dopo la conversione in corrente alternata, l’elettricità viene solitamente inviata a una stazione di trasformazione dove la tensione viene aumentata per adattarla ai livelli richiesti dalla rete elettrica. Da qui, l’energia prodotta può essere distribuita e utilizzata dai consumatori.

Sistema di monitoraggio e controllo

Una centrale fotovoltaica è dotata di un sistema di monitoraggio e controllo che permette di gestire l’impianto in modo efficiente, monitorare le prestazioni, diagnosticare eventuali guasti e ottimizzare la produzione di energia. Questi sistemi possono spesso essere controllati a distanza.

Una centrale solare a torre, nota anche come centrale termosolare a concentrazione (CSP, Concentrated Solar Power), funziona sfruttando la luce solare concentrata per produrre calore ad alta temperatura, che viene poi utilizzato per generare elettricità attraverso un ciclo termico convenzionale. Vediamo nel dettaglio come funziona, includendo le temperature coinvolte, le potenziali quantità di watt prodotti e le dimensioni tipiche di tali impianti.

Principio di Funzionamento

  1. Raccolta della luce solare: La centrale utilizza un campo di specchi orientabili, detti eliostati, che riflettono e concentrano la luce solare verso un ricevitore situato sulla cima di una torre centrale. Gli eliostati sono controllati da sistemi computerizzati per seguire il movimento del sole e massimizzare l’efficienza della riflessione durante il giorno.
  2. Conversione in calore: Il ricevitore sulla torre assorbe la radiazione solare concentrata, trasformandola in calore. Questo calore è utilizzato per riscaldare un fluido termovettore (che può essere sale fuso, aria, acqua o vapore) a temperature molto elevate, tipicamente tra 400°C e 1000°C.
  3. Produzione di elettricità: Il fluido termovettore ad alta temperatura trasporta il calore verso un generatore di vapore, dove il calore viene utilizzato per produrre vapore ad alta pressione. Il vapore aziona poi una turbina collegata a un generatore, producendo elettricità. Dopo che il vapore ha rilasciato il suo calore, viene condensato in acqua e riportato al generatore di vapore, completando il ciclo.
  4. Stoccaggio del calore: Uno dei vantaggi delle centrali solari a torre è la possibilità di immagazzinare il calore in eccesso, tipicamente utilizzando sali fusi, per produrre elettricità anche di notte o in condizioni di nuvolosità.

Dimensioni e Potenziale di Produzione

  • Dimensioni del campo di eliostati: Un impianto può coprire da poche decine fino a centinaia di ettari, con migliaia di eliostati disposti in maniera tale da massimizzare la concentrazione della luce solare sulla torre.
  • Altezza della torre: Le torri possono raggiungere altezze dai 100 ai 200 metri, per ottimizzare la ricezione della luce solare concentrata da parte del ricevitore.
  • Potenza prodotta: La potenza di una centrale solare a torre può variare considerevolmente in base alle sue dimensioni e alla tecnologia impiegata. Gli impianti più piccoli possono produrre poche decine di megawatt (MW), mentre gli impianti più grandi possono superare i 100 MW. Ad esempio, un impianto da 100 MW può generare abbastanza elettricità per soddisfare il fabbisogno energetico di circa 75.000 abitazioni.

Esempio Specifico

Prendiamo come esempio un impianto solare a torre da 100 MW:

  • La temperatura del fluido termovettore nel ricevitore può superare i 500°C.
  • L’area occupata dal campo di eliostati può essere superiore a 1 km², a seconda della specifica configurazione e dell’efficienza degli eliostati.
  • L’energia prodotta dipenderà dall’irraggiamento solare della zona, dall’efficienza della conversione termica e dalla capacità di stoccaggio del calore, ma un impianto da 100 MW è teoricamente capace di produrre oltre 200 gigawattora (GWh) di elettricità all’anno, assumendo un buon numero di ore di pieno sole.

Le centrali solari a torre rappresentano una soluzione promettente per la produzione di energia rinnovabile su larga scala, combinando tecnologie avanzate per il tracciamento solare, la conversione termica e lo stoccaggio di energia, al fine di fornire una fonte di elettricità pulita e affid

abile, capace di operare anche durante le ore notturne o in condizioni di scarsa insolazione grazie ai sistemi di accumulo termico.

Sfide e Vantaggi

Sfide

  • Costi iniziali: L’investimento iniziale per la costruzione di una centrale solare a torre può essere significativo, a causa della complessità tecnologica e dell’estensione del campo di eliostati.
  • Impatto ambientale: Anche se rappresentano una fonte di energia rinnovabile, queste centrali richiedono grandi estensioni di terra, potendo avere un impatto sull’habitat locale e sulla biodiversità.
  • Manutenzione: La manutenzione dei migliaia di eliostati e la gestione di un impianto di tale complessità tecnologica possono presentare sfide operative.


Una centrale solare a specchi parabolici è un tipo di centrale termosolare che utilizza specchi parabolici per concentrare la luce solare su un tubo ricevitore collocato al fuoco della parabola. All’interno del tubo scorre un fluido termovettore che viene riscaldato fino a temperature elevate. Vediamo come funziona, considerando le temperature coinvolte, le potenziali quantità di watt prodotti e le dimensioni tipiche di tali impianti.

Principio di funzionamento

  1. Concentrazione della luce solare: Gli specchi parabolici concentrano la luce solare su un tubo ricevitore posizionato lungo il fuoco della parabola. Gli specchi sono orientabili per seguire il movimento del sole durante la giornata e massimizzare l’efficienza della concentrazione solare.
  2. Riscaldamento del fluido termovettore: Il fluido termovettore (che può essere olio termico, sale fuso, o un altro fluido ad alta capacità termica) scorre all’interno del tubo ricevitore e assorbe il calore concentrato dalla riflessione solare. Questo processo aumenta la temperatura del fluido fino a circa 400°C-600°C, a volte anche più in impianti ad alta efficienza.
  3. Generazione di elettricità: Il fluido termovettore riscaldato viene quindi pompato verso un generatore di vapore, dove il suo calore viene utilizzato per produrre vapore ad alta pressione. Il vapore, a sua volta, aziona una turbina collegata a un generatore elettrico, producendo energia elettrica. Come nelle centrali solari a torre, anche qui il vapore condensato viene riciclato nel sistema.
  4. Stoccaggio del calore: Un vantaggio significativo delle centrali a specchi parabolici è la possibilità di immagazzinare il calore in eccesso, ad esempio in serbatoi di sali fusi, consentendo la produzione di energia anche durante le ore senza sole.

Dimensioni e potenziale di produzione

  • Dimensioni dell’impianto: La lunghezza di un singolo collettore parabolico può variare da alcuni metri fino a oltre 100 metri, con un campo di collezione che può estendersi per centinaia di metri quadrati, a seconda della capacità dell’impianto.
  • Potenza prodotta: Gli impianti variano significativamente in termini di potenza, da piccoli impianti di pochi megawatt (MW) a grandi centrali di centinaia di MW. Un impianto medio di 50 MW può produrre abbastanza elettricità per soddisfare il fabbisogno di circa 20.000 case.

Esempio specifico

Considerando un impianto CSP a specchi parabolici da 50 MW:

  • La temperatura del fluido termovettore può raggiungere i 400°C-600°C.
  • Un campo di specchi parabolici potrebbe coprire un’area di diverse decine di ettari.
  • Tale impianto potrebbe generare oltre 100 GWh (gigawattora) di elettricità all’anno, a seconda dell’irraggiamento solare della località, dell’efficienza del sistema e della capacità di stoccaggio del calore.

Vantaggi

  • Produzione di energia pulita: Similmente ad altre tecnologie CSP, gli impianti a specchi parabolici producono energia elettrica senza emissioni inquinanti.
  • Possibilità di stoccaggio: La capacità di stoccare il calore permette la generazione di elettricità anche di notte o in condizioni di cielo nuvoloso, superando uno dei limiti principali delle fonti rinnovabili: l’intermittenza.
  • Efficienza energetica: Gli impianti CSP con collettori parabolici sono particolarmente efficienti in zone con elevata irradiazione solare diretta.

Attualmente, l’energia solare contribuisce significativamente al mix energetico globale, alimentando abitazioni, industrie e infrastrutture. La capacità installata di energia solare fotovoltaica continua a crescere a ritmi sostenuti, grazie ai progressi tecnologici e alla riduzione dei costi di produzione dei pannelli fotovoltaici.

Benefici dell’energia solare

L’energia solare, essendo rinnovabile e pulita, riduce la dipendenza dai combustibili fossili, contribuisce alla lotta contro il cambiamento climatico e promuove lo sviluppo sostenibile. Inoltre, l’energia solare può essere prodotta localmente, riducendo così le perdite di trasmissione e distribuzione e aumentando la sicurezza energetica dei paesi.

Possibili Sviluppi e Problemi

I futuri sviluppi potrebbero includere l’incremento dell’efficienza dei pannelli, lo sviluppo di nuovi materiali fotovoltaici e l’integrazione con altre tecnologie, come lo storage di energia. Tra i problemi, vi è il fatto che la produzione di energia solare è intermittente e dipende dalle condizioni meteorologiche. Inoltre, i pannelli fotovoltaici hanno una vita utile limitata e al termine della loro vita possono rappresentare un problema di smaltimento, anche se sono in corso ricerche per migliorare il riciclaggio dei materiali.

Fusione nucleare: sfide e progetti.

Principi fisici della fusione

La fusione nucleare richiede condizioni estreme di temperatura e pressione per superare la repulsione elettrostatica tra i nuclei atomici, che sono entrambi positivamente carichi. A temperature dell’ordine di decine di milioni di gradi Celsius, la materia esiste sotto forma di plasma, uno stato ionizzato in cui gli elettroni sono liberati dai nuclei atomici. In queste condizioni, i nuclei possono avvicinarsi abbastanza da permettere alle forze nucleari forti di vincere la repulsione elettrostatica e combinare i nuclei in un processo noto come fusione.

Metodi di confinamento per la fusione

Due dei principali approcci per ottenere la fusione in laboratorio sono il confinamento magnetico e il confinamento inerziale.

  • Confinamento magnetico: Il Tokamak e lo Stellarator sono i dispositivi più noti che utilizzano campi magnetici per confinare il plasma in un volume controllato. Il Tokamak, con la sua configurazione toroidale (a forma di ciambella), utilizza un campo magnetico per mantenere il plasma stabile e lontano dalle pareti del contenitore, mentre un campo magnetico aggiuntivo, generato da una corrente elettrica nel plasma, aiuta a riscaldarlo e a mantenerlo denso.

  • Confinamento inerziale: Questo metodo utilizza laser o fasci di particelle ad alta energia per comprimere e riscaldare piccole capsule di materiale fusibile, tipicamente deuterio e trizio, a densità e temperature sufficienti per innescare la fusione. La compressione deve essere estremamente rapida e uniforme per assicurare che il materiale non si disperda prima che la fusione possa avvenire.

Sfide e progressi recenti

Uno dei principali ostacoli alla realizzazione di un reattore a fusione commerciale è raggiungere un “guadagno energetico” positivo, cioè produrre più energia di quanta ne venga consumata per mantenere la reazione. Questo richiede un controllo estremamente preciso delle condizioni di fusione, oltre a materiali avanzati capaci di resistere alle intense condizioni all’interno del reattore.

Progetto ITER

Il progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) rappresenta uno degli sforzi internazionali più ambiziosi e significativi nel campo della fusione nucleare. Situato a Cadarache, nel sud della Francia, ITER è un consorzio globale che coinvolge l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Federazione Russa, il Giappone, la Cina, la Corea del Sud e l’India. L’obiettivo principale di ITER è dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica della fusione nucleare come fonte di energia pulita e praticamente illimitata.

Obiettivi di ITER

ITER mira a costruire il più grande tokamak mai realizzato, un dispositivo di confinamento magnetico a forma di ciambella progettato per mantenere il plasma di fusione a temperature e pressioni estremamente elevate per periodi prolungati. Gli obiettivi specifici del progetto includono:

  • Produrre un plasma di fusione auto-sostenuto, in cui l’energia generata dalla fusione è sufficiente a mantenere il processo senza un input energetico esterno continuo.
  • Dimostrare un guadagno energetico significativo, puntando a produrre 10 volte più energia di quanta ne venga consumata per mantenere il plasma (500 MW di potenza di fusione da un input di 50 MW).
  • Testare materiali e tecnologie chiave per un futuro reattore a fusione commerciale, inclusi sistemi di estrazione del calore, materiali resistenti alle radiazioni e tecnologie per la gestione del combustibile di fusione.
Design e tecnologia

Il design del tokamak ITER incorpora numerosi avanzamenti tecnologici, tra cui potenti magneti superconduttori per confinare e stabilizzare il plasma, sistemi di riscaldamento ad alta potenza per portare il plasma alle temperature necessarie per la fusione (oltre 150 milioni di gradi Celsius), e una sofisticata camera a vuoto rivestita di materiali speciali per gestire il calore intenso e la radiazione proveniente dal plasma.

Sfide e progressi

ITER è un progetto di ingegneria e ricerca di portata senza precedenti, che affronta molteplici sfide tecniche, scientifiche e logistiche. La costruzione del sito ha richiesto sforzi internazionali coordinati per la progettazione, la fabbricazione e il trasporto di componenti estremamente grandi e complessi da tutto il mondo. Nonostante i ritardi e i superamenti di costi, il progetto ha compiuto significativi progressi, con l’inizio dell’assemblaggio principale del tokamak nel 2020.

Impatto e significato

La riuscita di ITER avrà un impatto profondo sul futuro della produzione energetica globale, offrendo una dimostrazione pratica della fusione nucleare come fonte energetica sostenibile e a basse emissioni. Al di là della produzione di energia, il successo di ITER fornirà preziose conoscenze scientifiche e tecnologiche che accelereranno lo sviluppo di reattori a fusione commerciali e potrebbero giocare un ruolo cruciale nella transizione verso un mix energetico più pulito e sostenibile a livello mondiale.

Progetto NIF

Il National Ignition Facility (NIF) è un impianto sperimentale situato presso il Lawrence Livermore National Laboratory in California, Stati Uniti. Diversamente da ITER, che si basa sul confinamento magnetico per realizzare la fusione, il NIF utilizza un approccio noto come “confinamento inerziale” per ottenere la fusione nucleare. Inaugurato nel 2009, il NIF ospita il laser più potente al mondo, progettato per avvicinarci alla realizzazione della fusione nucleare come fonte di energia pulita e sostenibile.

Obiettivi del NIF

L’obiettivo principale del NIF è quello di raggiungere l'”ignizione” del plasma di fusione, un punto critico in cui la reazione di fusione diventa autosostenente, producendo più energia di quanta ne venga assorbita per innescare la reazione. Questo traguardo rappresenterebbe un passo significativo verso lo sviluppo di una fonte di energia a fusione praticabile. Gli obiettivi specifici del NIF includono:

  • Dimostrare la fattibilità tecnica della fusione nucleare tramite confinamento inerziale.
  • Fornire una piattaforma per esperimenti di fisica avanzata, compresi studi sulla materia a condizioni estreme e la sicurezza nucleare.
  • Sviluppare le conoscenze e le tecnologie necessarie per la progettazione di un futuro impianto di fusione che potrebbe fornire energia pulita in modo sostenibile.
Tecnologia e funzionamento

Il NIF utilizza 192 potenti fasci laser per riscaldare e comprimere un piccolissimo bersaglio, solitamente una capsula contenente una miscela degli isotopi dell’idrogeno, deuterio e trizio. I laser convergono sulla capsula con precisione estrema, riscaldandola a temperature di milioni di gradi e comprimendola a densità molto elevate. Questo processo incrementa la probabilità che i nuclei si fondano, rilasciando energia.

Sfide e progressi

Il raggiungimento dell’ignizione è estremamente difficile, richiedendo condizioni precise di temperatura, pressione e uniformità nella compressione del bersaglio. Nonostante queste sfide, il NIF ha realizzato importanti progressi scientifici e tecnologici, compresa la dimostrazione di alcuni degli impulsi laser più potenti e precisi mai generati.

Impatto e significato

Il successo del NIF nel fare avanzare la comprensione della fusione tramite confinamento inerziale ha implicazioni profonde non solo per lo sviluppo futuro dell’energia pulita ma anche per la sicurezza nazionale e la fisica fondamentale. Gli esperimenti condotti al NIF aiutano a modellare come la materia si comporta sotto condizioni estreme simili a quelle trovate nelle stelle o durante esplosioni nucleari.

Conclusioni

La fusione nucleare offre la promessa di una fonte di energia pulita, sicura e praticamente inesauribile, ma realizzare questa promessa richiede superare sfide tecniche e scientifiche sostanziali. I progressi nella fisica del plasma, nella tecnologia dei materiali e nei metodi di confinamento stanno gradualmente portando la fusione più vicina alla realtà commerciale, promettendo una rivoluzione nel modo in cui l’umanità genera energia nel futuro.

Il Nucleare in Italia.

L’inizio del programma nucleare in Italia si colloca nel contesto del dopoguerra, quando il Paese, in pieno miracolo economico (vedi Piano Marshall), iniziava a sperimentare una crescita economica significativa che portava con sé una crescente domanda di energia. Questo periodo vide anche l’inizio di una campagna internazionale promossa dal Presidente americano Dwight Eisenhower, nota come “Atoms for Peace”, che mirava a promuovere l’uso pacifico dell’energia nucleare.

Contesto Internazionale e Nazionale.

Negli Stati Uniti, già dal 1951, erano stati realizzati i primi prototipi di reattori che fornivano energia elettrica adatta all’uso civile. La campagna “Atoms for Peace” lanciata nel 1953, e a partire dalla metà degli anni ’50, iniziò la costruzione delle prime grandi centrali nucleari, prima negli USA e poi anche in Europa.

L’Italia e il Nucleare.

L’Italia, pur partendo svantaggiata rispetto ad altri Paesi a causa di un apparato industriale fragile e debole post-seconda guerra mondiale, iniziò rapidamente a recuperare terreno. La crescita economica e l’industrializzazione portarono a una maggiore richiesta di energia. Le centrali idroelettriche esistenti e l’importazione di energia non bastavano a soddisfare il fabbisogno crescente, spingendo il paese a cercare nuove fonti di energia.

La risposta al bisogno energetico.

La risposta a questo bisogno energetico fu l’interesse verso l’energia nucleare. L’ENI, guidata da Enrico Mattei, e altre società private iniziarono a interessarsi all’energia nucleare come mezzo per garantire l’autonomia energetica dell’Italia. Questo interesse portò, alla fine degli anni ’50 e all’inizio degli anni ’60, alla realizzazione delle prime tre centrali nucleari italiane, segnando l’inizio ufficiale del programma nucleare nel paese.

Le Prime Centrali Nucleari.

Le prime centrali nucleari italiane furono:

  1. Centrale di Borgo Sabotino: Vicino a Latina, fu la prima ad operare, realizzata tra il 1958 e il 1963. Inizialmente promossa dall’ENI, entrò in funzione grazie agli sforzi congiunti di società statali e private.
  2. Centrale del Garigliano: Vicino a Caserta, iniziò ad operare nel 1964. Era intesa a supportare lo sviluppo industriale del Sud Italia, ma fu chiusa nel 1982 a causa di problemi tecnici e proteste locali.
  3. Centrale di Trino Vercellese: In Piemonte, iniziò ad operare nel 1965. Fu realizzata con capitali sia statali che privati, inclusi investitori americani, e rappresentò un successo dal punto di vista della produzione energetica.

Queste centrali segnarono l’inizio dell’era nucleare in Italia, un periodo di speranze e aspettative per l’indipendenza energetica del paese. Tuttavia, il cammino del nucleare in Italia sarebbe stato segnato da alti e bassi, influenzato da fattori interni ed esterni, compresi incidenti nucleari internazionali e cambiamenti nella percezione pubblica e politica riguardo alla sicurezza e all’ambientalismo.

Il declino del programma nucleare in Italia è stato influenzato da una serie di eventi, cambiamenti politici e sociali, nonché da incidenti nucleari internazionali che hanno modificato radicalmente la percezione pubblica e la politica energetica del Paese.

Qui puoi visualizzare un tour virtuale tra le centrali nucleari italiane.

Cambiamenti politici e sociali.

Negli anni ’60 e ’70, l’Italia vide significativi cambiamenti politici e sociali che influenzarono direttamente il programma nucleare. La nazionalizzazione dell’energia elettrica nel 1962, con la creazione dell’ENEL (Ente Nazionale per l’Energia Elettrica), portò tutte le centrali elettriche, comprese quelle nucleari, sotto il controllo statale. Questo cambiamento mirava a ottimizzare la produzione e distribuzione dell’energia elettrica ma introdusse anche nuovi livelli di complessità e burocrazia nella gestione del nucleare.

Crisi energetiche e ambientalismo.

La crisi petrolifera del 1973 e l’emergere di un movimento ambientalista globale portarono a un ripensamento dell’energia nucleare. L’aumento dei prezzi del petrolio avrebbe potuto favorire un maggiore investimento nel nucleare, ma contemporaneamente cresceva la consapevolezza dei rischi ambientali e della sicurezza legati all’energia nucleare. In Italia, come nel resto del mondo, si sviluppò un forte movimento ambientalista che iniziò a sollevare dubbi sull’energia nucleare, soprattutto per quanto riguarda la gestione delle scorie radioattive e il rischio di incidenti.

Incidenti nucleari Internazionali.

La percezione pubblica del nucleare in Italia fu fortemente influenzata da due incidenti nucleari di rilievo internazionale:

  1. Three Mile Island (1979): L’incidente alla centrale nucleare di Three Mile Island negli Stati Uniti evidenziò i rischi associati all’energia nucleare, anche in un paese con elevati standard di sicurezza. Sebbene non ci fossero state vittime dirette, l’incidente sollevò preoccupazioni globali sulla sicurezza delle centrali nucleari.
  2. Chernobyl (1986): L’esplosione del reattore nella centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina (allora parte dell’URSS) ebbe un impatto devastante, con conseguenze ambientali e sanitarie a lungo termine. La nube radioattiva che raggiunse anche l’Italia e altri paesi europei accentuò ulteriormente le preoccupazioni sulla sicurezza nucleare e alimentò il dibattito pubblico contro l’uso dell’energia nucleare.

Il Referendum del 1987.

Il culmine del declino del programma nucleare in Italia fu il referendum del 1987, indetto a seguito del disastro di Chernobyl. Il referendum propose la cessazione del programma nucleare italiano, e l’esito fu una netta vittoria dei “sì”, con una larga maggioranza degli italiani che si espresse a favore dell’abbandono dell’energia nucleare. Di conseguenza, tutte le centrali nucleari esistenti furono gradualmente dismesse, e i piani per nuove centrali furono cancellati.

Dopo il Referendum.

Nonostante il chiaro verdetto del referendum, il dibattito sul nucleare in Italia non si è mai completamente spento. Periodicamente, si sono riaccese discussioni sull’opportunità di rivisitare l’opzione nucleare, soprattutto in risposta alle crisi energetiche e alla necessità di ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dall’estero. Tuttavia, eventi come il disastro di Fukushima nel 2011 hanno rafforzato la posizione anti-nucleare, confermando la scelta dell’Italia di non perseguire ulteriormente lo sviluppo dell’energia nucleare.

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Ordine cronologico

Il nucleare: un po’ di storia.

Non è semplice trovare una scoperta scientifica che abbia avuto un impatto più grande sulla popolazione e sulla politica mondiale di quello dell’energia nucleare. L’umanità ha preso coscienza di questa nuova forma di energia il 6 agosto 1945 quando si diffuse nel mondo la drammatica notizia dell’esplosione di una bomba nucleare sulla città giapponese di Hiroshima (80.000 morti immediati).

La storia del nucleare ha inizio 1916 con il fisico tedesco Albert Einstein attraverso la teoria della relatività ristretta, principio di equivalenza massa-energia, espressa nell’equazione:

                                                                    E = mc²

in cui :

E è l’energia, espressa in joule; m è la massa, espressa in chilogrammi; c² è la velocità della luce al quadrato, espressa in m/s;

la quale rappresenterebbe il fondamento teorico dell’energia nucleare. Questa formula suggerisce in linea di principio, la possibilità di trasformare direttamente la materia in energia o viceversa. Einstein non vide applicazioni pratiche in questa scoperta. Intuì però che il principio di equivalenza massa-energia poteva spiegare il fenomeno della radioattività, ovvero che certi elementi emettono energia spontanea, e una qualche reazione che implicasse l’equivalenza poteva essere la fonte di luminosità che accende le stelle. L’idea che una reazione nucleare si potesse anche produrre artificialmente, cioè sotto forma di reazione a catena, fu sviluppata in seguito alla scoperta del neutrone che avvenne 1932 quando il fisico Chadwick ottenne la conferma sperimentale della sua esistenza (scopriremo che i neutroni sono di fondamentale importanza per indurre il processo di fissione con successiva liberazione di energia).

Nel 1934 il gruppo di fisici italiani (i ragazzi di via Panisperna) diretti da Enrico Fermi bombardano sperimentalmente alcuni atomi con i neutroni e, quasi inconsapevolmente, realizzano la prima rudimentale fissione nucleare.

Nel 1938, si capì che, bombardando con neutroni il nucleo di certi tipi di atomi, come l’uranio, si poteva indurne lo divisione (in termine tecnico: la «fissione»), con la produzione di energia. Si apriva in tal modo la possibilità di sfruttare a nostro piacimento le gigantesche quantità di energie presenti nei nuclei. Si ebbe un’idea che si dimostrò fatale: si sarebbe potuto sfruttare l’atomo per nuove e dirompenti applicazioni nel settore militare, grazie alla cosiddetta reazione a catena. Prendeva piede la possibilità di una “superbomba” dalla potenza sino ad
allora inimmaginabile, davvero fantascientifica per quei tempi. Con questa prospettiva, essendo ormai alla vigilia della seconda guerra mondiale, fu inevitabile che gli studi sul nucleare, fino a quel momento compiuti in competitiva collaborazione tra gruppi delle diverse nazioni, venissero secretati; non si poteva certo permettere che stati nemici potessero avvantaggiarsi, imparando a gestire reazioni che generavano cento milioni di volte più energia rispetto alla classica reazione chimica impiegata nell’esplosivo tradizionale di dinamite o tritolo.
In questa corsa alla bomba, come è noto, il successo arrise agli Stati Uniti. Il loro programma nucleare militare, battezzato Progetto Manhattan, iniziò nel 1942 (spinto anche da una lettera scritta da Einstein al Presidente Roosevelt) e godette di risorse mai viste in precedenza in nessun settore tecnico-scientifico. Sotto la direzione del fisico Robert Oppenheimer e con il fondamentale contributo di Fermi, i più brillanti esperti mondiali di fisica si impegnarono nella più audace e difficile applicazione concreta degli studi scientifici. Il risultato del loro lavoro si ebbe già nell’estate del 1945, quando le esplosioni atomiche, prima nel deserto di Alamogordo nel New Mexico e, poco dopo, sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, cambiarono per sempre il modo di immaginare la guerra, che divenne improvvisamente capace di uccidere in un istante milioni di persone.

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La potenza del nuovo ordigno lo rendeva però inadatto a discriminare tra personale militare e popolazione, rendendo così il conflitto ancor più sanguinario e con effetti sempre più gravi per i civili, che per le leggi internazionali dovrebbero essere protetti.

La prima bomba al plutonio (nome in codice “The Gadget”) fu fatta esplodere nel “Trinity test” il 16 luglio 1945 nel poligono di Alamogordo, in Nuovo Messico. La prima bomba all’uranio (“Little Boy”) fu sganciata sul centro della città di Hiroshima il 6 agosto 1945. La seconda bomba al plutonio, denominata in codice “Fat Man“, fu sganciata invece su Nagasaki il 9 agosto 1945. Questi sono stati gli unici casi d’impiego bellico di armi nucleari, nella forma del bombardamento strategico.

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L’Unione Sovietica recuperò abbastanza rapidamente il ritardo e sperimentò la prima bomba a fissione il 29 settembre 1949, ponendo così fine al monopolio degli Stati Uniti d’America. La Gran Bretagna, la Francia e la Repubblica Popolare Cinese sperimentarono un ordigno a fissione rispettivamente nel 1952, nel 1960 e nel 1964. Le testate nucleari, basate sia sul principio della fissione nucleare che della fusione termonucleare possono essere installate, oltre che su bombe aeree, su missili, proiettili d’artiglieria, mine o siluri.

Nel 1954 il presidente degli Usa, Eisenhower, inaugurò il progetto “Atom for Peace”, allo scopo di favorire l’applicazione civile dell’energia nucleare. In soli 12 mesi venne realizzata la prima centrale nucleare della storia, il reattore civile Borax III in grado di fornire energia elettrica a una piccola città dello Stato dell’Idaho (Usa).

Dopo che Enrico Fermi aveva trovato il modo di «addomesticare» la reazione a catena, facendola procedere in modo controllato, si realizzarono le prime centrali nucleari, il cui scopo iniziale fu esclusivamente militare: creare artificialmente un materiale non presente sul pianeta Terra, il plutonio, che ci si aspettava avesse caratteristiche ottimali per produrre bombe atomiche. Solo vari anni dopo la guerra, nei primi anni ’50, ci si impegnò per la realizzazione di centrali civili, capaci di produrre calore e soprattutto elettricità. Nacquero a quel punto tanti sogni (che oggi possiamo definire ingenui), che promettevano di fornire energia illimitata e a costi irrisori ad un’umanità attonita di fronte all’enorme potenza dell’atomo. Ma si posero anche le radici per alcuni
incubi che ancora ci accompagnano al giorno d’oggi.

Definizioni
neutrone

Il neutrone è una particella elementare che agisce come «collante» per i protoni responsabili della carica positiva dei nuclei, che altrimenti, per repulsione elettrostatica, non potrebbero restarsene assieme. Non avendo carica elettrica (da cui il suo
nome) può venir utilizzato come efficace sonda per giungere fin nel cuore dell’atomo,
dove può venirvi catturato oppure viceversa causarne la spaccatura. Questo ha permesso di produrre tanto le bombe quanto i reattori nucleari.

Fissione nucleare

Nella fissione nucleare si parte con un nucleo di un atomo (adatto), contro cui si spara un neutrone di energia appropriata per riuscire a spaccarlo (fenomeno della fissione) con la liberazione di grandi quantità di energia. A seguito di questa rottura vengono anche liberati due o tre neutroni i quali, se si sono fatte le cose per bene (purezza dei materiali, densità adatta, …), possono indurre la fissione di altri nuclei circostanti. Si liberano così altri neutroni che possono continuare il processo, come in una valanga, fin quando tutti, o almeno una buona parte dei nuclei presenti, hanno reagito. Se la «reazione a catena» si sviluppa in modo incontrollato, selvaggio, si ha la bomba; se invece la si riesce a controllare, si può realizzare una centrale nucleare.

I carboni fossili.

Il carbone è una particolare roccia sedimentaria di colore bruno o nero, formata da due gruppi di sostanze:

  • materiale organico, cioè carbonio con piccole parti di idrogeno e ossigeno,  che con la combustione fornisce calore (energia termica) e anidride  carbonica;

materiale inorganico cioè argille, sali di zolfo, che con la loro combustione  danno origine alle ceneri e alle sostanze inquinanti.

Come si è formato? Questo combustibile deriva dalla carbonizzazione di intere foreste (carbogenesi), iniziata molti milioni di anni fa ed ha richiesto tre fasi principali:

  • crescita di grandi e fitte foreste in presenza di un clima umido;
  • sprofondamento lento del terreno e copertura degli alberi da parte delle acque e dei fanghi portati dai fiumi; successivamente si trasformano in  roccia che comprime la massa vegetale;
  • carbonizzazione dovuta ai batteri che in milioni di anni hanno divorato  l’idrogeno e l’ossigeno del legno ed alla fine resta il carbonio con piccole  quantità di altri elementi.
Schema carbogenesi.

Ricapitolando. I carboni fossili sono di origine vegetale e derivano da grandi distese di foreste che, centinaia di milioni di anni fa, sono sprofondate e sono state ricoperte dalle acque e, poi, sepolte sotto una spessa coltre di argilla ed altri materiali. La lenta e graduale decomposizione di queste enormi quantità di legname, avvenuta in assenza di aria, in presenza di batteri anaerobi e sotto l’azione di grandi pressioni ed alte temperature, ha generato un processo di trasformazione chiamato carbonizzazione. I tessuti vegetali, che sono costituiti prevalentemente di cellulosa (costituita da idrogeno e ossigeno), durante il processo di carbonizzazione hanno perso gradualmente l’idrogeno e l’ossigeno. Al termine della trasformazione è rimasto solo il carbonio.

I grandi sconvolgimenti geologici che causarono l’inizio di questi grandi fenomeni di trasformazione avvennero in diverse Ere, quindi i carboni fossili che estraiamo hanno età diverse e sono di vario tipo a seconda della durata del processo di trasformazione subito.

Tra tutti i combustibili fossili, il carbone è quello sfruttato da tempo. Già molto prima dell’invenzione della macchina a vapore, la Gran Bretagna ne usava abbondantemente. Nonostante che i suoi giacimenti siano sfruttati da secoli, si stima che le riserve naturali del nostro pianeta possano soddisfare le richieste ancora per duecento anni. Suo è il merito di aver consentito la Rivoluzione Industriale, fornendo l’energia termica necessaria al motore a vapore. Durante quel periodo (tra l’inizio e la fine del XIX secolo), il consumo mondiale del carbone passò da 20 milioni a 700 milioni di tonnellate annue. Il carbone ha però nella sua natura solida un elemento fortemente negativo: innanzitutto non è adatto ai motori a combustione interna, bisognosi di combustibili fluidi d miscelare con l’aria nella camera di scoppio; secondariamente, presenta maggiori difficoltà di trasporto rispetto al petrolio.

Quest’ultimo, infatti, può essere trasportato su grandi distanze semplicemente per mezzo di un tubo (oleodotto), mentre il carbone va materialmente caricato e scaricato su treni, navi, ecc. A queste difficoltà si aggiunge il notevole potere inquinante dei fumi prodotti da questo combustibile. Tutto ciò ha portato in questi ultimi decenni a preferirgli il petrolio, sicuramente più pratico ed efficiente. Attualmente il consumo di carboni è nuovamente in ascesa, sia per l’eccessivo costo del petrolio greggio sia perché le nuove tecnologie garantiscono maggiore sicurezza durante la fase di movimentazione del carbone, cioè di approvvigionamento e trasporto, durante la fase del suo stoccaggio, cioè di deposito e di immagazzinamento, ed infine, permettono la combustione senza troppi residui nocivi e lo smaltimento delle scorie prodotte nella combustione.

La qualità del carbone dipende dal grado di carbonizzazione che ha subito la massa vegetale, cioè dalla sua età. I carboni più antichi sono molto ricchi di carbonio e quindi hanno un maggiore potere calorifico I vari tipi di carbone si distinguono in base al periodo geologico in cui è iniziato il loro processo di carbonizzazione. Dalla vegetazione marcescente si formò per prima la torba, successivamente l’innalzamento del livello del mare ne causò lo sprofondamento sotto masse enormi di sedimenti marini. Man mano che questi cicli si ripetevano, le torbe di più antica formazione sprofondavano e, sempre più compresse, indurivano, procedendo nel loro processo di carbonizzazione. I carboni più antichi risalgono all’Era Mesozoica, circa 350 milioni di anni fa, i più recenti all’Era Quaternaria, meno di 10 milioni di anni fa.

  • Torba: non è un vero carbon fossile, infatti contiene una percentuale di  carbonio pari a circa il 60%, perché deriva da piante erbacee lacustri che  hanno subito una trasformazione limitata. Ha un aspetto spugnoso o  addirittura filamentoso, fibroso ed un colore nerastro. Si trova in  giacimenti superficiali (pochi metri di profondità) e in terreni acquitrinosi  detti torbiere (giacimenti importanti si trovano in Islanda, Olanda,  Germania, ex Unione Sovietica e Finlandia) dove viene estratta con una  draga (macchina da scavo). Contiene molta acqua (fino al 70-90%) e viene pertanto essiccata e compressa in mattonelle. Ha un alto contenuto di ceneri e non è un buon combustibile, viene pertanto impiegata soprattutto in agricoltura come concime e come correttivo dei terreni per arricchirlo di humus, come isolante termo-acustico e, grazie al suo elevato potere assorbente e deodorante, come lettiera per il bestiame.
  • Lignite: ve ne sono molte varietà, con proprietà diverse. Conserva  ancora tracce della struttura fibrosa del legno originario. E’ un carbone  abbastanza giovane detto anche brown coal (carbone marrone) e, a  differenza della torba che proviene dalla carbonizzazione di erbe palustri,  deriva da masse di alberi d’alto fusto di più remota formazione e che  hanno subito trasformazioni più profonde rispetto alla torba. Secondo i giacimenti ed il gradi di carbonizzazione vengono distinti diversi tipi di lignite: lignite torbosa (friabile e stratificata); lignite picea (nera, lucida); lignite xiloide (che porta ancora visibile la struttura del legno). La lignite appena estratta contiene il 40% di umidità, che dopo l’essiccamento, si riduce al 15-20%. Può essere utilizzata direttamente o in forma di mattonelle ottenute per semplice compressione. Questo carbone, che contiene una percentuale di carbonio pari a circa il 75%, non è un buon combustibile e poiché non conviene affrontare le spese di trasporto, viene utilizzato sul posto per alimentare centrali termoelettriche o come materia prima per alcune industrie chimiche. Giacimenti importanti si trovano in ex Unione Sovietica, Germania, Inghilterra e Romania. In Italia se ne trovano piccole quantità in Toscana, Umbria, Sardegna e Calabria.
  • Litantrace: è il carbon fossile che trova maggiore utilizzazione  nell’industria. E’ di colore scuro opaco o poco lucente, di  formazione più antica della lignite e più recente dell’antracite. La sua  formazione risale al periodo carbonifero, cioè a circa 300 milioni di anni fa.  Contiene una percentuale di carbonio pari a circa il 93% e una percentuale  di zolfo molto bassa e talvolta nulla. Per la sua composizione, che permette gli usi più svariati, e per la vastità dei giacimenti, è il più importante dei carboni fossili. Dal litantrace riscaldato ad elevate temperature (1000°C) in assenza di aria, si ricava il coke metallurgico. Quest’ultimo viene utilizzato negli altiforni per la produzione di acciaio.
  • Antracite: è il più antico dei carboni fossili e rappresenta il prodotto di un  avanzatissimo stadio di carbonizzazione dei vegetali. Ha un aspetto  metallico, nero, lucente e compatto e brucia lentamente non lasciando alcun residuo durante la combustione.  Contiene una altissima percentuale di carbonio (circa il 95%) e  conseguentemente bassi tenori di ceneri e di sostanze volatili. Per il suo  notevole potere calorifico è uno tra i migliori combustibili . Ideale per il riscaldamento, non trova grandi applicazioni industriali perché si preferisce il meno costoso litantrace. Si trova in terreni geologicamente molto antichi (Era primaria) ed è abbondante in varie località della Francia, della Svizzera, della ex Unione Sovietica e negli USA. In Italia piccoli giacimenti si trovano in Val d’Aosta, in Piemonte (provincia di Cuneo) e nelle Alpi Liguri, in Sardegna.

A partire dal XVI secolo, in particolare in Inghilterra, per risolvere il problema dell’approvvigionamento energetico degli impianti siderurgici, si comincia a sostituire il carbone di legna con quello fossile. Le prime miniere di carbone erano pozzi verticali, profondi circa 10 metri. Il carbone veniva tagliato e portato in superficie all’interno di cesti. Man mano che i pozzi diventavano più profondi e si scavavano gallerie laterali sempre più lunghe, aumentava la possibilità di frane, allagamenti, esplosioni causate dalla presenza di gas metano. Oggi i giacimenti di carbone sono ampiamente diffusi in tutto il mondo e Cina, ex URSS e USA sono i maggiori produttori a livello mondiale. Il ciclo del carbone comprende la coltivazione mineraria, il trasporto e la distribuzione, la combustione diretta o la conversione in prodotti vari, liquidi e gassosi. I giacimenti si trovano più comunemente in profondità, ma possono anche affiorare al livello del suolo. Il loro sfruttamento si può effettuare in due diversi modi:

  • coltivazione a cielo aperto dove l’estrazione viene effettuata in aree in cui il giacimento di carbone è molto vasto, si trova vicino alla superficie ed il carbone è facilmente rimovibile. La crosta rocciosa viene sbancata e con attrezzature speciali si rompe il carbone separandone grandi quantità in maniera rapida ed economica. Questo sistema è dannoso dal punto di vista ambientale in quanto si crea un grosso scavo nel terreno e si solleva molta polvere nera che viene sparsa dai venti per decine di chilometri. Esaurita la miniera, la società mineraria deve provvedere a sistemare lo scavo, ristabilendo le condizioni iniziali.
  • Coltivazione sotterranea: in questo caso vengono utilizzati diversi tipi di accesso alle vie sotterranee, i pozzi verticali (che permettono l’accesso alle gallerie e che sono attrezzati con impianti di sollevamento) e gallerie inclinate o gallerie orizzontali (a diverse profondità e quindi disposte a livelli diversi, seguendo i filoni carboniferi) in quanto la profondità delle miniere può superare i 1.000 metri. In questo caso, l’unico cambiamento nel paesaggio sono le montagne di rocce sterili che si formano in prossimità dei pozzi, invece sono alti i rischi per i minatori e per ridurre tali rischi si adottano numerose norme di sicurezza: le gallerie potrebbero franare e quindi vanno puntellate con centinature metalliche; l’acqua delle falde potrebbe allagare le gallerie e quindi viene sollevata in superficie con pompe; l’aria può circolare per tiraggio naturale, ma se le gallerie sono molto profonde si devono usare sistemi di aria forzata; il gas metano o grisou è spesso presente in sacche e potrebbe invadere le gallerie quando si abbatte una parete; per evitare le esplosioni si usano macchine ad aria compressa che non producono scintille. La salute del minatore è comunque esposta ad alti pericoli: le polveri respirate possono provocare la silicosi; il rumore delle perforatrici causa disturbi all’udito; l’aria sottoterra è calda e presenta molta umidità.

Combustibili fossili

I combustibili fossili derivano da una lenta e graduale decomposizione di sostanza organica. Si possono trovare sotto forma di petrolio (liquido), carbone (solido), gas naturale (gassoso) e altri combustibili composti da idrocarburi (composti che contengono carbonio -C- e idrogeno -H-).

Petrolio e gas naturali si presume che siano derivati da un lento processo di trasformazione di grandi quantità di plancton (fitoplancton e zooplancton) che si sono depositate sul fondo di oceani e laghi milioni di anni fa. Nel corso di decine di migliaia di secoli, questa materia organica si è mescolata con il fango ed è stata “sepolta” sotto pesanti strati di sedimenti. Il calore e la pressione provenienti dal centro della Terra hanno causato alterazioni nella loro composizione chimica formando composti di carbonio.

Nel caso dei carboni fossili, invece, la fonte originaria è individuabile in piante morte ricoperte dal sedimento durante il periodo Carbonifero (circa tra i 300 e i 350 milioni di anni fa). Con il passare dei secoli, questi depositi si sono solidificati, dando vita a distese di carbone. In alcuni casi possono anche in gas.

In sintesi

Possiamo dire che la decomposizione è avvenuta in mancanza di aria, sotto l’azione di alte temperature e pressioni e in presenza di speciali batteri. Come sappiamo, i tessuti vegetali sono costituiti in massima parte di cellulosa (risultato di un processo antico di fotosintesi), sostanza formata di carbonio, idrogeno e ossigeno. Durante la decomposizione questi tessuti hanno perso quasi tutto l’ossigeno e l’idrogeno e si sono trasformati in sostanze ricchissime di carbonio.

Utilizzi moderni

Per comprendere cosa sono i combustibili fossili e come mai siano diventati un tema molto attuale, bisogna certamente fare riferimento ai loro impieghi nell’era moderna.

Il carbone è stato utilizzato sin dall’antichità come combustibile, soprattutto nelle fornaci per fondere i minerali metallici.

L’olio non trattato e non raffinato è stato per esempio bruciato per secoli nelle lampade per favorire l’illuminazione.

Gli idrocarburi semi-solidi (come il catrame) sono stati utilizzati per l’impermeabilizzazione (in gran parte sul fondo di imbarcazioni e sulle banchine) e per l’imbalsamazione.

L’impiego su larga scala dei combustibili fossili ha avuto inizio durante la Prima Rivoluzione Industriale, tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, in cui carbone (prima) ed il petrolio (dopo) hanno cominciato ad essere sfruttati come carburanti per alimentare i motori a vapore. Nel corso della Seconda Rivoluzione Industriale (a cavallo tra Ottocento e Novecento), invece, i combustibili fossili venivano usati per fornire energia ai generatori elettrici.

L’invenzione del motore a combustione interna (per esempio, quello delle automobili) ha aumentato le richieste di petrolio in modo esponenziale, così come lo sviluppo degli aeromobili. Di conseguenza, si assiste prontamente all’emergere dell’industria petrolchimica, con il petrolio utilizzato per produrre componenti che spaziano dalla plastica alla materia prima. Nel secolo scorso i derivati del petrolio hanno permesso di inventare uno dei materiali che oggi l’uomo utilizza quotidianamente ovvero le plastiche. Inoltre, il catrame (un residuo dall’estrazione del petrolio) è diventato ampiamente utilizzato nella costruzione di strade e autostrade.

Effetti ambientali

La connessione tra i combustibili fossili e l’inquinamento atmosferico presente nelle nazioni industrializzate e nelle grandi città è stata evidente sin dalla Rivoluzione Industriale. Tra gli inquinanti generati dalla combustione di carbone e petrolio si possono includere anidride carbonica, monossido di carbonio, ossidi di azoto, biossido di zolfo, composti organici volatili e metalli pesanti, tutti associati a maggiori rischi di contrarre malattie, soprattutto respiratorie.
Lo sfruttamento dei combustibili fossili da parte degli esseri umani è anche la più grande fonte di emissioni di biossido di carbonio, o CO2, (circa il 90%) in tutto il mondo. La CO2 è uno dei principali gas che causano l’effetto serra e, quindi, contribuisce al surriscaldamento globale.

C’è bisogno di alternative

Capire cosa sono i combustibili fossili implica anche essere consapevoli della loro pericolosità per il nostro ecosistema. Diventa quindi di fondamentale importanza attrezzarsi e individuare delle fonti energetiche alternative e pulite, che possano essere salutari e sicure per la salvaguardia della Terra. Sfruttare le potenzialità di altri elementi naturali come l’acqua, l’aria e il sole per produrre energia è sicuramente una delle strade al momento più percorribili. Grazie al progresso scientifico si sono potute sviluppare tecnologie in grado di trarre vantaggi dalle cosiddette fonti energetiche rinnovabili

Definizioni
PLancton

Organismi di varie dimensioni presenti nell’acqua che si fanno trasportare dalla corrente. Si differenzia il fitoplancton se sono organismi di natura vegetale e zooplancton se di natura animale

Fitoplancton

Sono organismi presenti nel plancton che hanno la capacità di effettuare la fotosinstesi.

SEDIMENTO

Rappresenta un accumulo di sostanze che prima erano in sospensione (generalmente nei liquidi) e successivamente si vanno a depositare (sedimentazione) formando una massa di quelle sostanze.

I combustibili

Sotto il nome di combustibili comprendiamo tutte quelle sostanze (solide, liquide, gassose) che si combinano con l’ossigeno, in una reazione chimica (detta combustione), nel corso della quale l’energia racchiusa nei legami chimici si trasforma in calore (energia termica), che viene liberato.

La mappa può essere visualizzata anche qui      

Combustibili fossili Sono quelle sostanze estratte dal sottosuolo – che possono trovarsi anche a grandissime profondità – e che hanno subito un processo di fossilizzazione le quali, a contatto con l’ossigeno dell’aria, sono in grado di bruciare, sviluppando calore e luce.

I combustibili possono essere naturali o artificiali (sintetici o derivati da quelli naturali a seguito di processi di lavorazione).

La combustione è una reazione che permette al carbonio e all’idrogeno contenuto nei combustibili di combinarsi con l’ossigeno (comburente) per produrre CO2 e H2O e soprattutto calore (energia termica), che è il prodotto economicamente principale di queste reazioni. Come vedremo nelle prossime lezioni, il calore rilasciato dalla combustione viene direttamente utilizzato in apposite centrali per produrre energia elettrica.

La caratteristica comune dei combustibili è quella di contenere i due elementi combustibili fondamentali:

  • idrogeno ( H );
  • carbonio ( C )

Quanto più alta è la quantità di calore sviluppata dal combustibile durante la combustione, tanto più alto è il suo valore economico, naturalmente a parità di peso. La quantità di calore sprigionata durante la combustione può essere misurata sperimentalmente e prende il nome di potere calorifico: i combustibili sono tanto migliori quanto maggiore è la percentuale di carbonio in essi contenuta e quanto maggiore è il loro potere calorifico.

Il potere calorifico

La quantità di calore che si sviluppa bruciando 1 kg o m3 di un combustibile viene chiamata potere calorifico di quel combustibile. Il potere calorifico si misura in kilocalorie per chilogrammo (kcal/kg) se il combustibile è solido, e in kilocalorie per metro-cubo (kcal/m3) se il combustibile è gassoso o liquido. Naturalmente maggiore è la quantità di calore che si sviluppa durante la combustione di una massa di combustibile, maggiore è il valore economico del combustibile stesso.

Potere calorifico dei principali combustibili MEDIO
CombustibilePotere calorificoCombustibilePotere calorifico
Legno3.500 kcal/kgCoke metallurgico7.100 kcal/kg
Torba3.000 kcal/kgBenzina10.500 kcal/kg
Lignite5.500 kcal/kgGasolio10.700 kcal/kg
Litantrace7.000 kcal/kgNafta10.500 kcal/kg
Antracite8.500 kcal/kgGas liquido11.000 kcal/kg
Carbone di legna7.000 kcal/kgPetrolio greggio11.000 kcal/m3
Gas d’acqua2.200 kcal/m3Gas d’aria950 kcal/m3
Gas misto1.200 kcal/m3Metano8.700 kcal/m3