Il Nucleare in Italia.

L’inizio del programma nucleare in Italia si colloca nel contesto del dopoguerra, quando il Paese, in pieno miracolo economico (vedi Piano Marshall), iniziava a sperimentare una crescita economica significativa che portava con sé una crescente domanda di energia. Questo periodo vide anche l’inizio di una campagna internazionale promossa dal Presidente americano Dwight Eisenhower, nota come “Atoms for Peace”, che mirava a promuovere l’uso pacifico dell’energia nucleare.

Contesto Internazionale e Nazionale.

Negli Stati Uniti, già dal 1951, erano stati realizzati i primi prototipi di reattori che fornivano energia elettrica adatta all’uso civile. La campagna “Atoms for Peace” lanciata nel 1953, e a partire dalla metà degli anni ’50, iniziò la costruzione delle prime grandi centrali nucleari, prima negli USA e poi anche in Europa.

L’Italia e il Nucleare.

L’Italia, pur partendo svantaggiata rispetto ad altri Paesi a causa di un apparato industriale fragile e debole post-seconda guerra mondiale, iniziò rapidamente a recuperare terreno. La crescita economica e l’industrializzazione portarono a una maggiore richiesta di energia. Le centrali idroelettriche esistenti e l’importazione di energia non bastavano a soddisfare il fabbisogno crescente, spingendo il paese a cercare nuove fonti di energia.

La risposta al bisogno energetico.

La risposta a questo bisogno energetico fu l’interesse verso l’energia nucleare. L’ENI, guidata da Enrico Mattei, e altre società private iniziarono a interessarsi all’energia nucleare come mezzo per garantire l’autonomia energetica dell’Italia. Questo interesse portò, alla fine degli anni ’50 e all’inizio degli anni ’60, alla realizzazione delle prime tre centrali nucleari italiane, segnando l’inizio ufficiale del programma nucleare nel paese.

Le Prime Centrali Nucleari.

Le prime centrali nucleari italiane furono:

  1. Centrale di Borgo Sabotino: Vicino a Latina, fu la prima ad operare, realizzata tra il 1958 e il 1963. Inizialmente promossa dall’ENI, entrò in funzione grazie agli sforzi congiunti di società statali e private.
  2. Centrale del Garigliano: Vicino a Caserta, iniziò ad operare nel 1964. Era intesa a supportare lo sviluppo industriale del Sud Italia, ma fu chiusa nel 1982 a causa di problemi tecnici e proteste locali.
  3. Centrale di Trino Vercellese: In Piemonte, iniziò ad operare nel 1965. Fu realizzata con capitali sia statali che privati, inclusi investitori americani, e rappresentò un successo dal punto di vista della produzione energetica.

Queste centrali segnarono l’inizio dell’era nucleare in Italia, un periodo di speranze e aspettative per l’indipendenza energetica del paese. Tuttavia, il cammino del nucleare in Italia sarebbe stato segnato da alti e bassi, influenzato da fattori interni ed esterni, compresi incidenti nucleari internazionali e cambiamenti nella percezione pubblica e politica riguardo alla sicurezza e all’ambientalismo.

Il declino del programma nucleare in Italia è stato influenzato da una serie di eventi, cambiamenti politici e sociali, nonché da incidenti nucleari internazionali che hanno modificato radicalmente la percezione pubblica e la politica energetica del Paese.

Qui puoi visualizzare un tour virtuale tra le centrali nucleari italiane.

Cambiamenti politici e sociali.

Negli anni ’60 e ’70, l’Italia vide significativi cambiamenti politici e sociali che influenzarono direttamente il programma nucleare. La nazionalizzazione dell’energia elettrica nel 1962, con la creazione dell’ENEL (Ente Nazionale per l’Energia Elettrica), portò tutte le centrali elettriche, comprese quelle nucleari, sotto il controllo statale. Questo cambiamento mirava a ottimizzare la produzione e distribuzione dell’energia elettrica ma introdusse anche nuovi livelli di complessità e burocrazia nella gestione del nucleare.

Crisi energetiche e ambientalismo.

La crisi petrolifera del 1973 e l’emergere di un movimento ambientalista globale portarono a un ripensamento dell’energia nucleare. L’aumento dei prezzi del petrolio avrebbe potuto favorire un maggiore investimento nel nucleare, ma contemporaneamente cresceva la consapevolezza dei rischi ambientali e della sicurezza legati all’energia nucleare. In Italia, come nel resto del mondo, si sviluppò un forte movimento ambientalista che iniziò a sollevare dubbi sull’energia nucleare, soprattutto per quanto riguarda la gestione delle scorie radioattive e il rischio di incidenti.

Incidenti nucleari Internazionali.

La percezione pubblica del nucleare in Italia fu fortemente influenzata da due incidenti nucleari di rilievo internazionale:

  1. Three Mile Island (1979): L’incidente alla centrale nucleare di Three Mile Island negli Stati Uniti evidenziò i rischi associati all’energia nucleare, anche in un paese con elevati standard di sicurezza. Sebbene non ci fossero state vittime dirette, l’incidente sollevò preoccupazioni globali sulla sicurezza delle centrali nucleari.
  2. Chernobyl (1986): L’esplosione del reattore nella centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina (allora parte dell’URSS) ebbe un impatto devastante, con conseguenze ambientali e sanitarie a lungo termine. La nube radioattiva che raggiunse anche l’Italia e altri paesi europei accentuò ulteriormente le preoccupazioni sulla sicurezza nucleare e alimentò il dibattito pubblico contro l’uso dell’energia nucleare.

Il Referendum del 1987.

Il culmine del declino del programma nucleare in Italia fu il referendum del 1987, indetto a seguito del disastro di Chernobyl. Il referendum propose la cessazione del programma nucleare italiano, e l’esito fu una netta vittoria dei “sì”, con una larga maggioranza degli italiani che si espresse a favore dell’abbandono dell’energia nucleare. Di conseguenza, tutte le centrali nucleari esistenti furono gradualmente dismesse, e i piani per nuove centrali furono cancellati.

Dopo il Referendum.

Nonostante il chiaro verdetto del referendum, il dibattito sul nucleare in Italia non si è mai completamente spento. Periodicamente, si sono riaccese discussioni sull’opportunità di rivisitare l’opzione nucleare, soprattutto in risposta alle crisi energetiche e alla necessità di ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dall’estero. Tuttavia, eventi come il disastro di Fukushima nel 2011 hanno rafforzato la posizione anti-nucleare, confermando la scelta dell’Italia di non perseguire ulteriormente lo sviluppo dell’energia nucleare.

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Ordine cronologico

L’importanza del riciclo della carta: Un passo verso la sostenibilità

In un’era dove la sostenibilità ambientale è più che mai al centro dell’attenzione, il riciclo della carta rappresenta un tassello fondamentale per la conservazione delle risorse naturali e la riduzione dell’inquinamento. Questo processo non solo contribuisce alla salvaguardia delle foreste, ma gioca anche un ruolo cruciale nella diminuzione dell’impatto ambientale associato alla produzione di carta nuova.

Come avviene il riciclo della carta

Il processo di riciclo della carta inizia con la raccolta di materiale usato, che viene poi trasportato a un impianto di riciclo. Qui, la carta viene separata in base al tipo e alla qualità, per poi essere lavata e privata di inchiostri, adesivi e qualsiasi altro residuo. Successivamente, viene frantumata e mescolata con acqua per creare una pasta. Questa pasta può essere poi depurata ulteriormente e, se necessario, sbiancata, prima di essere trasformata in nuova carta o cartone.

Il riciclo della carta non solo riduce la necessità di utilizzare risorse vergini, ma impiega anche meno energia e acqua rispetto alla produzione di carta nuova. Inoltre, minimizza la quantità di rifiuti che finisce in discarica, contribuendo significativamente alla riduzione delle emissioni di gas serra.

L’Utilizzo di carta riciclata in Italia e nel Mondo

In Italia, l’industria della carta riciclata è in continua espansione. Secondo i dati forniti da Comieco, il Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi a Base Cellulosica, il tasso di raccolta e riciclo della carta in Italia è tra i più alti in Europa, con milioni di tonnellate di carta riciclata ogni anno. Questo non solo dimostra l’impegno del paese verso la sostenibilità ambientale, ma sottolinea anche l’efficacia del sistema di raccolta differenziata e del ciclo di riciclo.

A livello globale, l’utilizzo di carta riciclata sta guadagnando terreno come pratica standard nell’industria della carta e del cartone. Paesi in tutto il mondo stanno adottando politiche più rigorose per promuovere il riciclo della carta, riconoscendo il suo valore nel ridurre l’impatto ambientale dell’industria cartaria. L’incremento dell’uso di carta riciclata contribuisce significativamente alla lotta contro la deforestazione e al risparmio energetico, sottolineando l’importanza di pratiche sostenibili in ogni settore.

Conclusione

Il riciclo della carta è un elemento chiave nella strategia globale per la sostenibilità ambientale. Attraverso il riciclo, è possibile ridurre significativamente l’impatto ambientale associato alla produzione e allo smaltimento della carta, promuovendo al contempo l’economia circolare. L’Italia, insieme ad altri paesi in tutto il mondo, sta dimostrando che con l’impegno collettivo e le politiche adeguate, è possibile fare grandi passi verso un futuro più verde e sostenibile. Continuare a promuovere e migliorare il riciclo della carta è essenziale per proteggere le nostre risorse naturali e garantire la salute del nostro pianeta per le generazioni future.

Tecnica e Tecnologia.

Sono evidenti le enormi differenze che esistono tra le condizioni di vita degli uomini primitivi e quelle attuali. Ma come si è passati da un modo di vivere così disagiato e pericoloso, quale sicuramente era quello dei nostri antenati, alle tante comodità dei nostri giorni? Solo e semplicemente attraverso una lunghissima serie di scoperte ed invenzioni. Le tecniche sono i procedimenti mediante cui tali invenzioni e scoperte sono state fatte.

Il motivo per cui durante la scuola media studierai Tecnologia è quello di apprendere il metodo con cui tutte tali invenzioni e scoperte sono state fatte poiché la consapevolezza di tale metodo e e soprattutto la capacità di utilizzarlo è estremamente utile in moltissime situazioni di lavoro, di studio, di attività domestiche, cioè nella vita di tutti giorni.

Ma qual è questo metodo?

Per capire come si arriva a inventare qualcosa, prendiamo come esempio l’aeroplano, creato da Leonardo da Vinci che iniziò osservando attentamente il volo degli uccelli. Anche oggi possiamo vedere gli appunti e i disegni che fece durante questa fase di studio, conservati in diversi musei. L’osservazione è la prima fase di qualsiasi invenzione o scoperta e spesso riguarda la natura e ciò che ci circonda.

La seconda fase ossia quella dell’ideazione è decisamente più complessa

Nel esempio che abbiamo utilizzato, Leonardo ha avuto l’idea di creare una macchina che potesse permettere all’uomo di volare imitando il volo degli uccelli. Successivamente, ha fatto alcuni disegni che descrivono come la macchina sarebbe stata fatta, con l’indicazione dei materiali, dei pezzi e di come le varie parti sarebbero state collegate. Questa fase di progettazione costituisce la terza fase di ogni conquista. Infine, affinché l’invenzione o la scoperta possa essere utilizzata, è necessario che degli operai e dei tecnici seguano le istruzioni del progetto e costruiscano la macchina, nel nostro caso l’aeroplano. Questa fase finale è la realizzazione.

Se consideriamo che Leonardo da Vinci visse tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500, e che il primo aereo che volò fu quello dei fratelli Wright nel 1903, si può notare che ci sono voluti circa 400 anni per passare dalla fase del progetto a quella della realizzazione. Per capire perché ci fu un ritardo così lungo, è necessario esaminare la struttura dell’aereo ideato da Leonardo. La struttura era in legno e ricoperta di tela, materiali che erano già noti e utilizzati al tempo. Tuttavia, per volare, un aereo ha bisogno di un’elica e di un motore per farla girare. Anche se l’uso dei metalli risale a epoche antiche come l’età del rame e l’età del ferro, perché non fu possibile costruire un motore all’epoca di Leonardo da Vinci?

Per diversi motivi. Il più semplice motivo è che allora tutti gli oggetti venivano costruiti a mano, come i metalli lavorati dal fabbro sull’incudine, e pertanto non potevano avere quella precisione e quella uniformità di dimensioni che richiede la realizzazione di una macchina complessa quale è un motore. Quando invece, alla fine del 1700, con la Rivoluzione Industriale si cominciarono a costruire gli oggetti con l’uso delle macchine fu possibile raggiungere la precisione richiesta e realizzare i motori che vennero utilizzati prima per le machine stesse, poi per mezzi di trasporto terrestri (locomotive) e navali ed infine anche per far volare gli aeroplani. Ma all’epoca di Leonardo non si conosceva neanche come alimentare questo motore. Come poteva girare l’elica? Con la sola energia data dalla forza dell’uomo? Sarebbe stato impossibile.

Tutta questa lunga spiegazione si può comunque riassumere affermando che ai tempi di Leonardo da Vinci la tecnologia dei metalli non era in grado di costruire un motore. La tecnologia è infatti la «scienza che studia la trasformazione delle materie prime in oggetti finiti». Precisando che si definisce risorsa naturale qualunque materiale che si trova spontaneamente in natura e che un oggetto finito è un oggetto pronto per essere usato.

Un esempio per capire cos’è la Tecnologia? Eccolo.

Immaginiamo di voler costruire una sedia di legno. La risorsa naturale è l’albero, la materia prima è ovviamente il legno e l’oggetto finito è la sedia su cui possiamo sederci. Per passare però dal legno che si trova ancora nell’albero alla sedia sono necessarie tutta una serie di operazioni, quali ricavare legno dall’albero, tagliarlo, piallarlo, incollarlo, assemblarlo. Di questo si occupa la tecnologia del legno.

Se invece la sedia deve essere di metallo la materia prima è, ad esempio, i ferro e le operazioni da compiere per arrivare all’oggetto finito sono completamente diverse poiché si tratterà di estrarre il metallo dai suoi minerali, fonderlo, saldarlo, ecc. Di tali operazioni si occupa la tecnologia dei metalli.

Combustibili fossili

I combustibili fossili derivano da una lenta e graduale decomposizione di sostanza organica. Si possono trovare sotto forma di petrolio (liquido), carbone (solido), gas naturale (gassoso) e altri combustibili composti da idrocarburi (composti che contengono carbonio -C- e idrogeno -H-).

Petrolio e gas naturali si presume che siano derivati da un lento processo di trasformazione di grandi quantità di plancton (fitoplancton e zooplancton) che si sono depositate sul fondo di oceani e laghi milioni di anni fa. Nel corso di decine di migliaia di secoli, questa materia organica si è mescolata con il fango ed è stata “sepolta” sotto pesanti strati di sedimenti. Il calore e la pressione provenienti dal centro della Terra hanno causato alterazioni nella loro composizione chimica formando composti di carbonio.

Nel caso dei carboni fossili, invece, la fonte originaria è individuabile in piante morte ricoperte dal sedimento durante il periodo Carbonifero (circa tra i 300 e i 350 milioni di anni fa). Con il passare dei secoli, questi depositi si sono solidificati, dando vita a distese di carbone. In alcuni casi possono anche in gas.

In sintesi

Possiamo dire che la decomposizione è avvenuta in mancanza di aria, sotto l’azione di alte temperature e pressioni e in presenza di speciali batteri. Come sappiamo, i tessuti vegetali sono costituiti in massima parte di cellulosa (risultato di un processo antico di fotosintesi), sostanza formata di carbonio, idrogeno e ossigeno. Durante la decomposizione questi tessuti hanno perso quasi tutto l’ossigeno e l’idrogeno e si sono trasformati in sostanze ricchissime di carbonio.

Utilizzi moderni

Per comprendere cosa sono i combustibili fossili e come mai siano diventati un tema molto attuale, bisogna certamente fare riferimento ai loro impieghi nell’era moderna.

Il carbone è stato utilizzato sin dall’antichità come combustibile, soprattutto nelle fornaci per fondere i minerali metallici.

L’olio non trattato e non raffinato è stato per esempio bruciato per secoli nelle lampade per favorire l’illuminazione.

Gli idrocarburi semi-solidi (come il catrame) sono stati utilizzati per l’impermeabilizzazione (in gran parte sul fondo di imbarcazioni e sulle banchine) e per l’imbalsamazione.

L’impiego su larga scala dei combustibili fossili ha avuto inizio durante la Prima Rivoluzione Industriale, tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, in cui carbone (prima) ed il petrolio (dopo) hanno cominciato ad essere sfruttati come carburanti per alimentare i motori a vapore. Nel corso della Seconda Rivoluzione Industriale (a cavallo tra Ottocento e Novecento), invece, i combustibili fossili venivano usati per fornire energia ai generatori elettrici.

L’invenzione del motore a combustione interna (per esempio, quello delle automobili) ha aumentato le richieste di petrolio in modo esponenziale, così come lo sviluppo degli aeromobili. Di conseguenza, si assiste prontamente all’emergere dell’industria petrolchimica, con il petrolio utilizzato per produrre componenti che spaziano dalla plastica alla materia prima. Nel secolo scorso i derivati del petrolio hanno permesso di inventare uno dei materiali che oggi l’uomo utilizza quotidianamente ovvero le plastiche. Inoltre, il catrame (un residuo dall’estrazione del petrolio) è diventato ampiamente utilizzato nella costruzione di strade e autostrade.

Effetti ambientali

La connessione tra i combustibili fossili e l’inquinamento atmosferico presente nelle nazioni industrializzate e nelle grandi città è stata evidente sin dalla Rivoluzione Industriale. Tra gli inquinanti generati dalla combustione di carbone e petrolio si possono includere anidride carbonica, monossido di carbonio, ossidi di azoto, biossido di zolfo, composti organici volatili e metalli pesanti, tutti associati a maggiori rischi di contrarre malattie, soprattutto respiratorie.
Lo sfruttamento dei combustibili fossili da parte degli esseri umani è anche la più grande fonte di emissioni di biossido di carbonio, o CO2, (circa il 90%) in tutto il mondo. La CO2 è uno dei principali gas che causano l’effetto serra e, quindi, contribuisce al surriscaldamento globale.

C’è bisogno di alternative

Capire cosa sono i combustibili fossili implica anche essere consapevoli della loro pericolosità per il nostro ecosistema. Diventa quindi di fondamentale importanza attrezzarsi e individuare delle fonti energetiche alternative e pulite, che possano essere salutari e sicure per la salvaguardia della Terra. Sfruttare le potenzialità di altri elementi naturali come l’acqua, l’aria e il sole per produrre energia è sicuramente una delle strade al momento più percorribili. Grazie al progresso scientifico si sono potute sviluppare tecnologie in grado di trarre vantaggi dalle cosiddette fonti energetiche rinnovabili

Definizioni
PLancton

Organismi di varie dimensioni presenti nell’acqua che si fanno trasportare dalla corrente. Si differenzia il fitoplancton se sono organismi di natura vegetale e zooplancton se di natura animale

Fitoplancton

Sono organismi presenti nel plancton che hanno la capacità di effettuare la fotosinstesi.

SEDIMENTO

Rappresenta un accumulo di sostanze che prima erano in sospensione (generalmente nei liquidi) e successivamente si vanno a depositare (sedimentazione) formando una massa di quelle sostanze.

I combustibili

Sotto il nome di combustibili comprendiamo tutte quelle sostanze (solide, liquide, gassose) che si combinano con l’ossigeno, in una reazione chimica (detta combustione), nel corso della quale l’energia racchiusa nei legami chimici si trasforma in calore (energia termica), che viene liberato.

La mappa può essere visualizzata anche qui      

Combustibili fossili Sono quelle sostanze estratte dal sottosuolo – che possono trovarsi anche a grandissime profondità – e che hanno subito un processo di fossilizzazione le quali, a contatto con l’ossigeno dell’aria, sono in grado di bruciare, sviluppando calore e luce.

I combustibili possono essere naturali o artificiali (sintetici o derivati da quelli naturali a seguito di processi di lavorazione).

La combustione è una reazione che permette al carbonio e all’idrogeno contenuto nei combustibili di combinarsi con l’ossigeno (comburente) per produrre CO2 e H2O e soprattutto calore (energia termica), che è il prodotto economicamente principale di queste reazioni. Come vedremo nelle prossime lezioni, il calore rilasciato dalla combustione viene direttamente utilizzato in apposite centrali per produrre energia elettrica.

La caratteristica comune dei combustibili è quella di contenere i due elementi combustibili fondamentali:

  • idrogeno ( H );
  • carbonio ( C )

Quanto più alta è la quantità di calore sviluppata dal combustibile durante la combustione, tanto più alto è il suo valore economico, naturalmente a parità di peso. La quantità di calore sprigionata durante la combustione può essere misurata sperimentalmente e prende il nome di potere calorifico: i combustibili sono tanto migliori quanto maggiore è la percentuale di carbonio in essi contenuta e quanto maggiore è il loro potere calorifico.

Il potere calorifico

La quantità di calore che si sviluppa bruciando 1 kg o m3 di un combustibile viene chiamata potere calorifico di quel combustibile. Il potere calorifico si misura in kilocalorie per chilogrammo (kcal/kg) se il combustibile è solido, e in kilocalorie per metro-cubo (kcal/m3) se il combustibile è gassoso o liquido. Naturalmente maggiore è la quantità di calore che si sviluppa durante la combustione di una massa di combustibile, maggiore è il valore economico del combustibile stesso.

Potere calorifico dei principali combustibili MEDIO
CombustibilePotere calorificoCombustibilePotere calorifico
Legno3.500 kcal/kgCoke metallurgico7.100 kcal/kg
Torba3.000 kcal/kgBenzina10.500 kcal/kg
Lignite5.500 kcal/kgGasolio10.700 kcal/kg
Litantrace7.000 kcal/kgNafta10.500 kcal/kg
Antracite8.500 kcal/kgGas liquido11.000 kcal/kg
Carbone di legna7.000 kcal/kgPetrolio greggio11.000 kcal/m3
Gas d’acqua2.200 kcal/m3Gas d’aria950 kcal/m3
Gas misto1.200 kcal/m3Metano8.700 kcal/m3