I carboni fossili.

Il carbone è una particolare roccia sedimentaria di colore bruno o nero, formata da due gruppi di sostanze:

  • materiale organico, cioè carbonio con piccole parti di idrogeno e ossigeno,  che con la combustione fornisce calore (energia termica) e anidride  carbonica;

materiale inorganico cioè argille, sali di zolfo, che con la loro combustione  danno origine alle ceneri e alle sostanze inquinanti.

Come si è formato? Questo combustibile deriva dalla carbonizzazione di intere foreste (carbogenesi), iniziata molti milioni di anni fa ed ha richiesto tre fasi principali:

  • crescita di grandi e fitte foreste in presenza di un clima umido;
  • sprofondamento lento del terreno e copertura degli alberi da parte delle acque e dei fanghi portati dai fiumi; successivamente si trasformano in  roccia che comprime la massa vegetale;
  • carbonizzazione dovuta ai batteri che in milioni di anni hanno divorato  l’idrogeno e l’ossigeno del legno ed alla fine resta il carbonio con piccole  quantità di altri elementi.
Schema carbogenesi.

Ricapitolando. I carboni fossili sono di origine vegetale e derivano da grandi distese di foreste che, centinaia di milioni di anni fa, sono sprofondate e sono state ricoperte dalle acque e, poi, sepolte sotto una spessa coltre di argilla ed altri materiali. La lenta e graduale decomposizione di queste enormi quantità di legname, avvenuta in assenza di aria, in presenza di batteri anaerobi e sotto l’azione di grandi pressioni ed alte temperature, ha generato un processo di trasformazione chiamato carbonizzazione. I tessuti vegetali, che sono costituiti prevalentemente di cellulosa (costituita da idrogeno e ossigeno), durante il processo di carbonizzazione hanno perso gradualmente l’idrogeno e l’ossigeno. Al termine della trasformazione è rimasto solo il carbonio.

I grandi sconvolgimenti geologici che causarono l’inizio di questi grandi fenomeni di trasformazione avvennero in diverse Ere, quindi i carboni fossili che estraiamo hanno età diverse e sono di vario tipo a seconda della durata del processo di trasformazione subito.

Tra tutti i combustibili fossili, il carbone è quello sfruttato da tempo. Già molto prima dell’invenzione della macchina a vapore, la Gran Bretagna ne usava abbondantemente. Nonostante che i suoi giacimenti siano sfruttati da secoli, si stima che le riserve naturali del nostro pianeta possano soddisfare le richieste ancora per duecento anni. Suo è il merito di aver consentito la Rivoluzione Industriale, fornendo l’energia termica necessaria al motore a vapore. Durante quel periodo (tra l’inizio e la fine del XIX secolo), il consumo mondiale del carbone passò da 20 milioni a 700 milioni di tonnellate annue. Il carbone ha però nella sua natura solida un elemento fortemente negativo: innanzitutto non è adatto ai motori a combustione interna, bisognosi di combustibili fluidi d miscelare con l’aria nella camera di scoppio; secondariamente, presenta maggiori difficoltà di trasporto rispetto al petrolio.

Quest’ultimo, infatti, può essere trasportato su grandi distanze semplicemente per mezzo di un tubo (oleodotto), mentre il carbone va materialmente caricato e scaricato su treni, navi, ecc. A queste difficoltà si aggiunge il notevole potere inquinante dei fumi prodotti da questo combustibile. Tutto ciò ha portato in questi ultimi decenni a preferirgli il petrolio, sicuramente più pratico ed efficiente. Attualmente il consumo di carboni è nuovamente in ascesa, sia per l’eccessivo costo del petrolio greggio sia perché le nuove tecnologie garantiscono maggiore sicurezza durante la fase di movimentazione del carbone, cioè di approvvigionamento e trasporto, durante la fase del suo stoccaggio, cioè di deposito e di immagazzinamento, ed infine, permettono la combustione senza troppi residui nocivi e lo smaltimento delle scorie prodotte nella combustione.

La qualità del carbone dipende dal grado di carbonizzazione che ha subito la massa vegetale, cioè dalla sua età. I carboni più antichi sono molto ricchi di carbonio e quindi hanno un maggiore potere calorifico I vari tipi di carbone si distinguono in base al periodo geologico in cui è iniziato il loro processo di carbonizzazione. Dalla vegetazione marcescente si formò per prima la torba, successivamente l’innalzamento del livello del mare ne causò lo sprofondamento sotto masse enormi di sedimenti marini. Man mano che questi cicli si ripetevano, le torbe di più antica formazione sprofondavano e, sempre più compresse, indurivano, procedendo nel loro processo di carbonizzazione. I carboni più antichi risalgono all’Era Mesozoica, circa 350 milioni di anni fa, i più recenti all’Era Quaternaria, meno di 10 milioni di anni fa.

  • Torba: non è un vero carbon fossile, infatti contiene una percentuale di  carbonio pari a circa il 60%, perché deriva da piante erbacee lacustri che  hanno subito una trasformazione limitata. Ha un aspetto spugnoso o  addirittura filamentoso, fibroso ed un colore nerastro. Si trova in  giacimenti superficiali (pochi metri di profondità) e in terreni acquitrinosi  detti torbiere (giacimenti importanti si trovano in Islanda, Olanda,  Germania, ex Unione Sovietica e Finlandia) dove viene estratta con una  draga (macchina da scavo). Contiene molta acqua (fino al 70-90%) e viene pertanto essiccata e compressa in mattonelle. Ha un alto contenuto di ceneri e non è un buon combustibile, viene pertanto impiegata soprattutto in agricoltura come concime e come correttivo dei terreni per arricchirlo di humus, come isolante termo-acustico e, grazie al suo elevato potere assorbente e deodorante, come lettiera per il bestiame.
  • Lignite: ve ne sono molte varietà, con proprietà diverse. Conserva  ancora tracce della struttura fibrosa del legno originario. E’ un carbone  abbastanza giovane detto anche brown coal (carbone marrone) e, a  differenza della torba che proviene dalla carbonizzazione di erbe palustri,  deriva da masse di alberi d’alto fusto di più remota formazione e che  hanno subito trasformazioni più profonde rispetto alla torba. Secondo i giacimenti ed il gradi di carbonizzazione vengono distinti diversi tipi di lignite: lignite torbosa (friabile e stratificata); lignite picea (nera, lucida); lignite xiloide (che porta ancora visibile la struttura del legno). La lignite appena estratta contiene il 40% di umidità, che dopo l’essiccamento, si riduce al 15-20%. Può essere utilizzata direttamente o in forma di mattonelle ottenute per semplice compressione. Questo carbone, che contiene una percentuale di carbonio pari a circa il 75%, non è un buon combustibile e poiché non conviene affrontare le spese di trasporto, viene utilizzato sul posto per alimentare centrali termoelettriche o come materia prima per alcune industrie chimiche. Giacimenti importanti si trovano in ex Unione Sovietica, Germania, Inghilterra e Romania. In Italia se ne trovano piccole quantità in Toscana, Umbria, Sardegna e Calabria.
  • Litantrace: è il carbon fossile che trova maggiore utilizzazione  nell’industria. E’ di colore scuro opaco o poco lucente, di  formazione più antica della lignite e più recente dell’antracite. La sua  formazione risale al periodo carbonifero, cioè a circa 300 milioni di anni fa.  Contiene una percentuale di carbonio pari a circa il 93% e una percentuale  di zolfo molto bassa e talvolta nulla. Per la sua composizione, che permette gli usi più svariati, e per la vastità dei giacimenti, è il più importante dei carboni fossili. Dal litantrace riscaldato ad elevate temperature (1000°C) in assenza di aria, si ricava il coke metallurgico. Quest’ultimo viene utilizzato negli altiforni per la produzione di acciaio.
  • Antracite: è il più antico dei carboni fossili e rappresenta il prodotto di un  avanzatissimo stadio di carbonizzazione dei vegetali. Ha un aspetto  metallico, nero, lucente e compatto e brucia lentamente non lasciando alcun residuo durante la combustione.  Contiene una altissima percentuale di carbonio (circa il 95%) e  conseguentemente bassi tenori di ceneri e di sostanze volatili. Per il suo  notevole potere calorifico è uno tra i migliori combustibili . Ideale per il riscaldamento, non trova grandi applicazioni industriali perché si preferisce il meno costoso litantrace. Si trova in terreni geologicamente molto antichi (Era primaria) ed è abbondante in varie località della Francia, della Svizzera, della ex Unione Sovietica e negli USA. In Italia piccoli giacimenti si trovano in Val d’Aosta, in Piemonte (provincia di Cuneo) e nelle Alpi Liguri, in Sardegna.

A partire dal XVI secolo, in particolare in Inghilterra, per risolvere il problema dell’approvvigionamento energetico degli impianti siderurgici, si comincia a sostituire il carbone di legna con quello fossile. Le prime miniere di carbone erano pozzi verticali, profondi circa 10 metri. Il carbone veniva tagliato e portato in superficie all’interno di cesti. Man mano che i pozzi diventavano più profondi e si scavavano gallerie laterali sempre più lunghe, aumentava la possibilità di frane, allagamenti, esplosioni causate dalla presenza di gas metano. Oggi i giacimenti di carbone sono ampiamente diffusi in tutto il mondo e Cina, ex URSS e USA sono i maggiori produttori a livello mondiale. Il ciclo del carbone comprende la coltivazione mineraria, il trasporto e la distribuzione, la combustione diretta o la conversione in prodotti vari, liquidi e gassosi. I giacimenti si trovano più comunemente in profondità, ma possono anche affiorare al livello del suolo. Il loro sfruttamento si può effettuare in due diversi modi:

  • coltivazione a cielo aperto dove l’estrazione viene effettuata in aree in cui il giacimento di carbone è molto vasto, si trova vicino alla superficie ed il carbone è facilmente rimovibile. La crosta rocciosa viene sbancata e con attrezzature speciali si rompe il carbone separandone grandi quantità in maniera rapida ed economica. Questo sistema è dannoso dal punto di vista ambientale in quanto si crea un grosso scavo nel terreno e si solleva molta polvere nera che viene sparsa dai venti per decine di chilometri. Esaurita la miniera, la società mineraria deve provvedere a sistemare lo scavo, ristabilendo le condizioni iniziali.
  • Coltivazione sotterranea: in questo caso vengono utilizzati diversi tipi di accesso alle vie sotterranee, i pozzi verticali (che permettono l’accesso alle gallerie e che sono attrezzati con impianti di sollevamento) e gallerie inclinate o gallerie orizzontali (a diverse profondità e quindi disposte a livelli diversi, seguendo i filoni carboniferi) in quanto la profondità delle miniere può superare i 1.000 metri. In questo caso, l’unico cambiamento nel paesaggio sono le montagne di rocce sterili che si formano in prossimità dei pozzi, invece sono alti i rischi per i minatori e per ridurre tali rischi si adottano numerose norme di sicurezza: le gallerie potrebbero franare e quindi vanno puntellate con centinature metalliche; l’acqua delle falde potrebbe allagare le gallerie e quindi viene sollevata in superficie con pompe; l’aria può circolare per tiraggio naturale, ma se le gallerie sono molto profonde si devono usare sistemi di aria forzata; il gas metano o grisou è spesso presente in sacche e potrebbe invadere le gallerie quando si abbatte una parete; per evitare le esplosioni si usano macchine ad aria compressa che non producono scintille. La salute del minatore è comunque esposta ad alti pericoli: le polveri respirate possono provocare la silicosi; il rumore delle perforatrici causa disturbi all’udito; l’aria sottoterra è calda e presenta molta umidità.

Produzione del cemento.

Il cemento è il materiale principe dell’industria delle costruzioni. Esso è usato quasi esclusivamente insieme alla sabbia per formare la malta oppure con altri inerti, come il pietrisco, per ottenere il calcestruzzo, utilizzato soprattutto per le opere in cemento armato. In ogni caso, il cemento ha bisogno dell’acqua per essere adeguatamente impastato e per poter reagire chimicamente e fare presa.

Ogni muratore, ogni impresa, ogni progettista, chiunque abbia avuto a che fare con l’edilizia ha anche avuto modo di conoscere il cemento. Spesso lo si scambia per il composto chiamato tecnicamente malta, in quanto ne è il componente principale, ma in ogni cantiere non può mancare un materiale simile. 
L’uso è indispensabile sia come come legante per la costruzione di muri di ogni tipo, ma soprattutto per la produzione del calcestruzzo e del cosiddetto cemento armato (più precisamente da chiamare calcestruzzo di cemento, armato). 

Tipi di cemento  


Esistono diversi tipi di cemento, differenti per la composizione, per le proprietà di resistenza e durevolezza e quindi per la destinazione d’uso. 
Dal punto di vista chimico si tratta in generale di una miscela di silicati e alluminati di calcio, ottenuti dalla cottura di calcare, argilla e sabbia. Il materiale ottenuto, finemente macinato, una volta miscelato con acqua si idrata e solidifica progressivamente nel tempo.

Il cemento Portland  

Il cemento Portland, probabilmente il tipo più utilizzato, come abbiamo già visto, fu scoperto nel 1824 in Inghilterra dal muratore Joseph Aspdin

Riassunto del ciclo produttivo del cemento Portland.

La fabbricazione del cemento Portland avviene nelle seguenti tre fasi
preparazione della miscela grezza dalle materie prime
– produzione del clinker
– preparazione del cemento. 

Le materie prime per la produzione del Portland sono: 
calcare (contenente carbonato di calcio)

marna/argilla (contenente ossidi di silicio, ferro e alluminio). 
L’estrazione avviene in apposite cave con minerali che in generale sono composte da rocce dove sono presenti tutte le materie prime necessarie. Quando non si riesce a trovare minerali con queste caratteristiche è necessario aggiungere argilla o calcare, oppure minerale di ferro o altri materiali residui di fonderia. 


Forno rotante.

La miscela è riscaldata in un forno speciale costituito da un enorme cilindro (chiamato Kiln) disposto orizzontalmente con leggera inclinazione e ruotante lentamente. La temperatura è fatta crescere lungo il cilindro fino a circa 1480° centigradi in modo che i minerali si aggreghino, ma non fondano e vetrifichino. 
Nella sezione a temperatura minore il carbonato di calcio (il calcare, le pietre) si scinde in ossido di calcio e anidride carbonica (CO2). Nella zona ad alta temperatura l’ossido di calcio reagisce con i silicati a formare silicati di calcio. 
Il materiale risultante è complessivamente denominato clinker. Il clinker può essere conservato per anni prima di produrre il cemento, a condizione di evitare il contatto con l’acqua. 
L’energia teorica necessaria per produrre il clinker è molto elevata. Questo comporta una grande richiesta di energia per la produzione del cemento e si ha anche un notevole rilascio di anidride carbonica in atmosfera, che è un gas che causa l’effetto serra. 
Per la produzione del cemento il Clinker viene macinato in un mulino fino ad ottenere un polvere. Il gesso è aggiunto al clinker per migliorare le caratteristiche, successivamente la miscela viene macinata. La polvere ottenuta è il cemento pronto per l’uso. 

Clincker.

Quando il cemento Portland è miscelato con l’acqua, il prodotto solidifica in alcune ore e indurisce progressivamente nell’arco di diverse settimane. Anche se la presa continua nel tempo si considera ottenuta completamente a 28 giorni quando raggiunge il 90% dello sviluppo delle sue proprietà meccaniche. L’indurimento iniziale è provocato dalla reazione tra acqua, gesso e altri componenti.
Con l’aggiunta di particolari materiali al cemento (calcare e calce) si ottiene il cemento plastico, di più rapida presa e maggiore lavorabilità. La malta preparata usando una miscela di cemento Portland e calce è nota come malta bastarda. 

Il cemento è venduto principalmente in due modi diversi:

  • in sacchi da 25 Kg dove è evidenziata la resistenza meccanica ed il produttore;
  • sfuso in grandi silos.

L’albero.

Nei video presentati nei precedenti articoli abbiamo visto che il uno dei primi materiali utilizzati dall’uomo fin dalla preistoria è stato il legno. Ma da dove si ricava questo importante materiale?

Il legno è un materiale consistente che si trova sotto al corteccia dei tronchi e dei rami degli alberi. Quindi gli alberi rappresentano la risorsa naturale da cui ricaviamo la materia prima ovvero il legno. Questo materiale è costituito da un tessuto composto da cellule che contengono prevalentemente due sostanze: lignina e cellulosa. Più alto è il contenuto di lignina, più il legno sarà duro e compatto.

Il legno, anche dopo il taglio, non è un materiale “morto”, ma vive e percepisce le variazioni climatiche: si gonfia con l’umidità e si ritira (diminuisce il suo volume) con il calore.

Struttura dell’albero
Struttura del tronco.

In un albero riusciamo a distinguere tre parti fondamentali: le radici che in genere si trovano sotto terra; il fusto detto anche tronco e la chioma che è formata da rami, rametti e foglie.

Le radici servono principalmente ad assorbire acqua e sali minerali (linfa grezza) che sarà trasportata alle foglie. Un’altra fondamentale funzione delle radici è quella di ancorare l’albero al terreno.

Il fusto collega le radici alla chioma e sostiene quest’ultima. All’interno del tronco vedremo che scorre la linfa grezza, ma anche la linfa elaborata (il nutrimento della pianta). Considerando la sua grande importanza dal punto di vista tecnologico, lo studieremo nel dettaglio tra un po’.

La chioma come abbiamo detto è formata da rami, rametti e foglie. Mentre rami e rametti hanno la semplice funzione di reggere le foglie, queste ultime sono di importanza vitale sia per la pianta sia per noi essere umani. Infatti, l’acqua ed i sali minerali vengono trasformate nelle foglie in vero e proprio nutrimento per la pianta grazie ad un importantissimo processo che si chiama fotosintesi clorofilliana. Ricordiamoci che i vegetali sono gli unici essere viventi che riescono a fabbricarsi il cibo da soli (autotrofi), mentre tutti gli altri essere viventi si nutrono di cibo fatto da altri (eterotrofi).

Come accennato precedentemente, il tronco rappresenta la parte che per noi che studiamo tecnologia rappresenta la parte più importante. Perché? Perché proprio dal tronco noi ricaviamo la materia prima che stiamo studiano ossia il legno. Tagliando il tronco trasversalmente possiamo notare che la sezione non è tutta dello stesso colore ed in essa possiamo distinguere sei diverse zone che formano una sorta di anelli concentrici (tante circonferenze con lo stesso centro).

Dall’esterno verso l’interno abbiamo: la corteccia, il libro, il cambio, l’alburno, il durame ed il midollo.

La corteccia è l’anello più esterno, l’unico visibile anche quando il tronco non è tagliato. È costituito da cellule morte ed ha il compito di proteggere le parti più interne del tronco dagli agenti atmosferici e dagli insetti. Dal punti di vista tecnologico ha qualche interesse? In generale no, ma diventa materia prima nelle querce da sughero, infatti proprio dalla corteccia ricaviamo il sughero. Può anche essere utilizzata nella pacciamatura ossia nella pratica agronomica di utilizzare le “scaglie” che formano la corteccia di alcuni alberi per disporle vicino le radici delle piante da orto al fine di proteggerle dal freddo o per impedire la crescita di erbe infestanti.

Il libro (il termine scientifico è floema) ha uno spessore molto sottile e vi scorre la linfa elaborata.

Il cambio permette all’albero di crescere, crea nuove fibre sia verso l’interno creando nuovo alburno, sia vero l’esterno creando nuovo libro.

L’alburno è formato da cellule vegetali nelle quali avviene il trasporto della linfa grezza (acqua e sali minerali). Poiché le piante assorbono più acqua nel periodo primaverile ed estivo, mentre nel periodo autunno ed invernale l’assorbimento di acqua è più ridotto (immaginate di vedere la chioma negli alberi in primavera- più rigogliosa- e in autunno – più spoglia-), nel corso dell’anno il cambio formerà un anello di alburno di colore chiaro e più spesso ed un altro di colore scuro e più ridotto. L’alburno primaverile dovrà trasportare più linfa grezza, mentre quello autunnale meno.

Il durame è la zona del tronco di maggiore spessore ed ha la stessa funzione che nel corpo umano ha lo scheletro, cioè quella di consentire all’albero una posizione eretta. Inoltre, esso è l’anello da cui noi ricaviamo il vero e proprio legno da cui si ricava il legname. È costituito da cellule ricche di lignina e rappresenta l’alburno invecchiato nel quale non scorre più linfa grezza. Le cellule che costituiscono tutto il tronco formano una sorta di fasci di fibre orientate lungo la sua altezza.

Breve storia del cemento.

La storia del cemento inizia già con gli Egizi ed i Romani, ma di cementi veri e propri ne possiamo parlare solo a partire dal 1800. Infatti, la differenza principale che caratterizza il calcestruzzo (è un conglomerato) antico da quello moderno consiste nel diverso tipo di cemento (legante) impiegato: nel calcestruzzo antico, il legante era costituito da calce e pozzolana o da calce idraulica avente proprietà simili a quelle del cemento moderno grazie ad alcune impurità presenti nel legante. Nel calcestruzzo moderno, invece, il legante è costituito dal cemento Portland o da miscele di questo con scorie d’altoforno e pozzolana. Oltre a questo, il calcestruzzo moderno ha una granulometria (dimensione) degli inerti impiegati, particolarmente assortita nelle dimensioni che migliora la resistenza meccanica.

Già gli Egizi e i Romani erano alla ricerca di un legante che irrobustisse le loro costruzioni e già a quel tempo capirono che l’impasto di diversi materiali poteva essere la chiave giusta per ottenere quello che stavano cercando. I Romani per primi impiegarono impasti a base di fango e di materiali lapidei estratti dalla roccia vulcanica di Pozzuoli, da cui derivò il nome di pozzolana.

Per poter parlare di cemento vero e proprio bisogna aspettare il 1756 quando l’ingegnere John Smeaton, trovò un impasto particolarmente resistente all’acqua.

Nel 1796 Joseph Parker perfezionò l’impasto di Smeaton aggiungendo polvere d’argilla e nel 1813 fu il francese Louis-Joseph Vicat a migliorare le proporzioni del materiale argilloso. Nel 1822 James Frost completò la “ricetta” con del materiale calcareo frantumato.

Nel 1824 un muratore inglese, Joseph Aspdin, perfezionò l’impasto fino a raggiungere quel livello di qualità e di resistenza che ritroviamo nel cemento di oggi. Aspdin mescolò, studiandone attentamente le proporzioni, calcare e argilla cotti in forno inventando un legante con caratteristiche superiori agli altri fino ad allora sperimentati. Il legante inventato da Aspdin su chiamato  Cemento Portland ( il colore ricordava le rocce dell’isola di Portland) e rappresenta una delle principali innovazioni nei materiali da costruzione dell’800.

Dopo Aspdin altri tecnici apportarono varianti e miglioramenti, tra questi il più significativo fu quello di Isaac Johnson che, nel 1850, stabilì che il processo di cottura del cemento doveva svilupparsi a temperature molto alte.

Il cemento è quindi frutto di una stretta collaborazione tra la natura, fornitrice delle materie prime, e la creatività dell’uomo che in un secolo di studio è riuscito a trovare quella miscela ideale che oggi chiamiamo cemento e che rappresenta uno degli elementi principali del calcestruzzo armato.

POZZOLANA

Materiale proveniente da rocce di origine vulcanica che non indurisce al contatto con l’acqua, quindi non è un legante idraulico; è però capace di far presa ed indurire se mescolata con la calce o con il cemento Portland (legante idraulico), consentendo di ottenere impasti resistenti all’acqua, che presentano anche una maggiore resistenza meccanica. Nelle costruzioni, l’uso della pozzolana risale all’epoca dei Romani che ne fecero largo uso per realizzare acquedotti, ponti, moli che esigevano solidità e resistenza all’acqua.

Breve storia del calcestruzzo armato.

L’avvento del calcestruzzo armato ha completamente rivoluzionato le tradizionali tecniche di costruzione ed ha permesso agli architetti del ‘900 di creare edifici con caratteristiche mai viste prima. Infatti, questo materiale riesce ad avere delle resistenze meccaniche estremamente elevate, sia alla compressione sia alla flessione, ma di questo ne parleremo più avanti.

Le prime costruzioni in calcestruzzo armato risalgono alla seconda metà del XIX secolo. L’architetto Lambert brevettò nel  1855 il calcestruzzo, e nel 1865 Joseph Monier brevettò l’applicazione delle barre di acciaio nel conglomerato costituito da un impasto di cemento, ghiaia e sabbia ( calcestruzzo).  Dal 1880 le opere in cemento armato si diffusero enormemente e la loro applicazione nelle costruzioni di abitazioni fu  facilitata dai metodi di calcolo sulla resistenza delle strutture. 

Charles – Edouard Le Corbusier (1887- 1965), uno dei maggiori architetti del Novecento, indicò le caratteristiche positive  delle costruzioni in calcestruzzo armato rispetto alle altre: 

▪ possibilità di costruire edifici su pilastri sopraelevati rispetto al piano del terreno;  

▪ possibilità di una grande economia di volumi del costruito,  in quanto vengono eliminati i muri portanti e quindi tutto il  piano risulta libero e divisibile come si desidera;  

▪ avere finestre a tutta superficie tra un pilastro e l’altro, che  possono,anche essere arretrati rispetto alle finestre stesse;  

▪ possibilità di avere coperture piane a balzo e a gradoni  che consentono, mediante accorgimenti tecnici, la creazione di giardini pensili, piscine, ecc.  

Il Novecento ha visto fiorire numerose scuole di progettazione dell’ architettura. Le più note sono:  

▪ la scuola di Frank Lioyd Wringt ( 1869 – 1959) che fonda il  suo stile sull’equilibrio fra uomo e natura, utilizzando pietra  nuda per gli edifici, massi e legni per gli interni, che ha  influenzato non poco l’architettura italiana;  

▪ la scuola di Walter Gropius ( 1883 – 1969 ) il fondatore  della Bauhaus ( istituto superiore di arti e mestieri) che  rispecchia più di ogni altro la coscienza dell’architettura  moderna.;  

▪ la scuola di Le Corbusier.  

In Italia non mancano i grandi architetti come Paolo Luigi  Nervi che nelle sue costruzioni ci dà esempi magnifici delle  grandissime possibilità del cemento.

I leganti

I leganti rappresentano una categoria di materiali da costruzione molto importante. Hanno natura inorganica derivando da rocce e hanno la capacità di “legare” ovvero unire altri materiali (ad esempio sabbia, pietrisco, ghiaia) formando una massa plastica che progressivamente acquisisce resistenze meccanica estremamente elevate. L’elemento che permette di creare la miscela plastica è l’acqua e detta miscela prende il nome di pasta.

pasta= legante + acqua

Se alla pasta viene aggiunto un inerte fine (sabbia) otteniamo una malta.

malta= pasta+ inerte fine

Quando alla malta si aggiunge un inerte grossolano (pietrisco o ghiaia) otteniamo un conglomerato.

conglomerato= malta+ inerte grossolano

classificazione dei materiali inerti.

Il legante ha la proprietà di reagire con l’acqua o con la CO2 presente nell’aria. Le reazioni che avvengono possono essere molto complesse e danno luogo al fenomeno della presa. A tale fase segue quella dell’indurimento. La presa rappresenta la fase in cui l’impasto inizia a rapprendersi ossia diventa consistente; in questa fase abbiamo due periodi: l’inizio presa quando l’impasto comincia a diventare consistente e la fine presa quando l’impasto può essere manipolato, ma mantiene la forma che gli viene data. L’indurimento inizia quando le proprietà del meccaniche del legante iniziano a manifestarsi e lega gli inerti e i materiali con cui viene a contatto. L’indurimento si completa quando il legante ha sviluppato le resistenze meccaniche massime.

In funzione della composizione delle materie prime e del processo di trasformazione, si classificano in due categorie:

  1. leganti aerei che hanno la capacità di far presa solo all’aria;
  2. leganti idraulici che induriscono anche in acqua e una volta induriti resistono al contatto con l’acqua.

leganti aerei, miscelati con acqua e sabbia, sono prevalentemente impiegati nella produzione di malte, mentre i leganti idraulici sono destinati soprattutto alla produzione di calcestruzzo con aggiunta di inerti.
I più utilizzati sono la calce aerea e il gesso.
La calce aerea indurisce per reazione con l’anidride carbonica presente nell’atmosfera. È ottenuta dalla cottura di rocce calcaree (a temperatura di 900°C) da cui si ricava calce viva (ossido di calcio), in grado di assorbire una quantità di acqua pari a circa tre volte il suo peso, trasformandosi così in grassello.

Il gesso indurisce per reazione con l’acqua di impasto (idratazione). È ottenuto dalla cottura di pietra da gesso disidratata e ridotta in polvere. A seconda della temperatura di cottura e del grado di macinazione si possono ottenere prodotti diversi

I principali tipi di gesso impiegati in edilizia sono il gesso da muro, il gesso per manufatti, il gesso per intonaco e il gesso per sottofondi.
Gesso da muro (o a rapida presa). Si usa in tutte quelle operazioni che richiedono una rapida presa e non esigono grandi resistenze meccaniche: per esempio, per fissare i tubi protettivi e le cassette di derivazione degli impianti elettrici nelle tracce delle murature.
Viene anche usato dai modellisti, che lo colano sotto forma di pasta allo stato fluido appena addensato sugli oggetti da riprodurre, in modo da ottenerne la matrice.
Gesso per manufatti. Viene impiegato nella produzione di pannelli per controsoffitti, di lastre di gesso rivestito (o cartongesso) e di blocchi per tramezzi.
Gesso per intonaco (o scagliola). Ha caratteristiche migliori del gesso da muro e tempi di presa più lunghi, che ne facilitano l’impiego per intonaci e stucchi.
La scagliola e il gesso da muro sono normalmente venduti in sacchi da 25 kg, in sacconi big-bags oppure sfusi in cisterne e in cantiere devono essere ovviamente protetti dall’umidità prima del loro impiego


leganti idraulici più comuni sono le calci idrauliche e i cementi.
I cementi rappresentano leganti molto importanti e saranno analizzati in un articolo specifico.


Definizioni

INERTE

Materiali utilizzati nell’edilizia, prevalentemente per la preparazione delle malte e conglomerati, la cui caratteristica principale è quella di non partecipare alle reazioni del legante (da qui inerti ossia non reagisce) che conducono all’indurimento della miscela.

MALTE

Impasto composto da una miscela di legante, sabbia e acqua sotto forma di impasto plastico capace, attraverso reazioni chimiche, di far presa e indurire in maniera irreversibile.

CALCESTRUZZO

Materiale composto da più elementi, ottenuto da un impasto di calce o cemento, inerti fini, grossi ed acqua che raggiunge consistenza litoide ossia la consistenza della pietra a seguito del fenomeno dell’idratazione del cemento e del successivo indurimento.

INTONACO

L’intonaco è un rivestimento murario costituito da malte. Ha la funzione di proteggere le pareti dagli agenti atmosferici e dalla condensa superficiale, di garantire condizioni igieniche ottimali negli ambienti interni, di fare da supporto alle successive finiture.

GRASSELLO

Composto ottenuto dallo spegnimento della calce viva tramite l’aggiunta di abbondante acqua. L’impasto prodotto, appiccicoso e untuoso al tatto, estremamente ecologico, è utilizzato come legante per malte, nella produzione di intonaci di pregio e opere di finitura.

Rocce calcaree

Roccia sedimentaria costituita prevalentemente da carbonato di calcio

Gesso

Legante aereo ottenuto dalla cottura di pietra da gesso, che acquisisce caratteristiche differenti in base alle temperature di cottura. 

Calce

Legante inorganico a base di composti del calcio ottenuto per cottura di rocce calcaree.  Sono essenzialmente raggruppabili in due grandi tipologie: calci aeree e calci idrauliche.

Combustibili fossili

I combustibili fossili derivano da una lenta e graduale decomposizione di sostanza organica. Si possono trovare sotto forma di petrolio (liquido), carbone (solido), gas naturale (gassoso) e altri combustibili composti da idrocarburi (composti che contengono carbonio -C- e idrogeno -H-).

Petrolio e gas naturali si presume che siano derivati da un lento processo di trasformazione di grandi quantità di plancton (fitoplancton e zooplancton) che si sono depositate sul fondo di oceani e laghi milioni di anni fa. Nel corso di decine di migliaia di secoli, questa materia organica si è mescolata con il fango ed è stata “sepolta” sotto pesanti strati di sedimenti. Il calore e la pressione provenienti dal centro della Terra hanno causato alterazioni nella loro composizione chimica formando composti di carbonio.

Nel caso dei carboni fossili, invece, la fonte originaria è individuabile in piante morte ricoperte dal sedimento durante il periodo Carbonifero (circa tra i 300 e i 350 milioni di anni fa). Con il passare dei secoli, questi depositi si sono solidificati, dando vita a distese di carbone. In alcuni casi possono anche in gas.

In sintesi

Possiamo dire che la decomposizione è avvenuta in mancanza di aria, sotto l’azione di alte temperature e pressioni e in presenza di speciali batteri. Come sappiamo, i tessuti vegetali sono costituiti in massima parte di cellulosa (risultato di un processo antico di fotosintesi), sostanza formata di carbonio, idrogeno e ossigeno. Durante la decomposizione questi tessuti hanno perso quasi tutto l’ossigeno e l’idrogeno e si sono trasformati in sostanze ricchissime di carbonio.

Utilizzi moderni

Per comprendere cosa sono i combustibili fossili e come mai siano diventati un tema molto attuale, bisogna certamente fare riferimento ai loro impieghi nell’era moderna.

Il carbone è stato utilizzato sin dall’antichità come combustibile, soprattutto nelle fornaci per fondere i minerali metallici.

L’olio non trattato e non raffinato è stato per esempio bruciato per secoli nelle lampade per favorire l’illuminazione.

Gli idrocarburi semi-solidi (come il catrame) sono stati utilizzati per l’impermeabilizzazione (in gran parte sul fondo di imbarcazioni e sulle banchine) e per l’imbalsamazione.

L’impiego su larga scala dei combustibili fossili ha avuto inizio durante la Prima Rivoluzione Industriale, tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, in cui carbone (prima) ed il petrolio (dopo) hanno cominciato ad essere sfruttati come carburanti per alimentare i motori a vapore. Nel corso della Seconda Rivoluzione Industriale (a cavallo tra Ottocento e Novecento), invece, i combustibili fossili venivano usati per fornire energia ai generatori elettrici.

L’invenzione del motore a combustione interna (per esempio, quello delle automobili) ha aumentato le richieste di petrolio in modo esponenziale, così come lo sviluppo degli aeromobili. Di conseguenza, si assiste prontamente all’emergere dell’industria petrolchimica, con il petrolio utilizzato per produrre componenti che spaziano dalla plastica alla materia prima. Nel secolo scorso i derivati del petrolio hanno permesso di inventare uno dei materiali che oggi l’uomo utilizza quotidianamente ovvero le plastiche. Inoltre, il catrame (un residuo dall’estrazione del petrolio) è diventato ampiamente utilizzato nella costruzione di strade e autostrade.

Effetti ambientali

La connessione tra i combustibili fossili e l’inquinamento atmosferico presente nelle nazioni industrializzate e nelle grandi città è stata evidente sin dalla Rivoluzione Industriale. Tra gli inquinanti generati dalla combustione di carbone e petrolio si possono includere anidride carbonica, monossido di carbonio, ossidi di azoto, biossido di zolfo, composti organici volatili e metalli pesanti, tutti associati a maggiori rischi di contrarre malattie, soprattutto respiratorie.
Lo sfruttamento dei combustibili fossili da parte degli esseri umani è anche la più grande fonte di emissioni di biossido di carbonio, o CO2, (circa il 90%) in tutto il mondo. La CO2 è uno dei principali gas che causano l’effetto serra e, quindi, contribuisce al surriscaldamento globale.

C’è bisogno di alternative

Capire cosa sono i combustibili fossili implica anche essere consapevoli della loro pericolosità per il nostro ecosistema. Diventa quindi di fondamentale importanza attrezzarsi e individuare delle fonti energetiche alternative e pulite, che possano essere salutari e sicure per la salvaguardia della Terra. Sfruttare le potenzialità di altri elementi naturali come l’acqua, l’aria e il sole per produrre energia è sicuramente una delle strade al momento più percorribili. Grazie al progresso scientifico si sono potute sviluppare tecnologie in grado di trarre vantaggi dalle cosiddette fonti energetiche rinnovabili

Definizioni
PLancton

Organismi di varie dimensioni presenti nell’acqua che si fanno trasportare dalla corrente. Si differenzia il fitoplancton se sono organismi di natura vegetale e zooplancton se di natura animale

Fitoplancton

Sono organismi presenti nel plancton che hanno la capacità di effettuare la fotosinstesi.

SEDIMENTO

Rappresenta un accumulo di sostanze che prima erano in sospensione (generalmente nei liquidi) e successivamente si vanno a depositare (sedimentazione) formando una massa di quelle sostanze.

I combustibili

Sotto il nome di combustibili comprendiamo tutte quelle sostanze (solide, liquide, gassose) che si combinano con l’ossigeno, in una reazione chimica (detta combustione), nel corso della quale l’energia racchiusa nei legami chimici si trasforma in calore (energia termica), che viene liberato.

La mappa può essere visualizzata anche qui      

Combustibili fossili Sono quelle sostanze estratte dal sottosuolo – che possono trovarsi anche a grandissime profondità – e che hanno subito un processo di fossilizzazione le quali, a contatto con l’ossigeno dell’aria, sono in grado di bruciare, sviluppando calore e luce.

I combustibili possono essere naturali o artificiali (sintetici o derivati da quelli naturali a seguito di processi di lavorazione).

La combustione è una reazione che permette al carbonio e all’idrogeno contenuto nei combustibili di combinarsi con l’ossigeno (comburente) per produrre CO2 e H2O e soprattutto calore (energia termica), che è il prodotto economicamente principale di queste reazioni. Come vedremo nelle prossime lezioni, il calore rilasciato dalla combustione viene direttamente utilizzato in apposite centrali per produrre energia elettrica.

La caratteristica comune dei combustibili è quella di contenere i due elementi combustibili fondamentali:

  • idrogeno ( H );
  • carbonio ( C )

Quanto più alta è la quantità di calore sviluppata dal combustibile durante la combustione, tanto più alto è il suo valore economico, naturalmente a parità di peso. La quantità di calore sprigionata durante la combustione può essere misurata sperimentalmente e prende il nome di potere calorifico: i combustibili sono tanto migliori quanto maggiore è la percentuale di carbonio in essi contenuta e quanto maggiore è il loro potere calorifico.

Il potere calorifico

La quantità di calore che si sviluppa bruciando 1 kg o m3 di un combustibile viene chiamata potere calorifico di quel combustibile. Il potere calorifico si misura in kilocalorie per chilogrammo (kcal/kg) se il combustibile è solido, e in kilocalorie per metro-cubo (kcal/m3) se il combustibile è gassoso o liquido. Naturalmente maggiore è la quantità di calore che si sviluppa durante la combustione di una massa di combustibile, maggiore è il valore economico del combustibile stesso.

Potere calorifico dei principali combustibili MEDIO
CombustibilePotere calorificoCombustibilePotere calorifico
Legno3.500 kcal/kgCoke metallurgico7.100 kcal/kg
Torba3.000 kcal/kgBenzina10.500 kcal/kg
Lignite5.500 kcal/kgGasolio10.700 kcal/kg
Litantrace7.000 kcal/kgNafta10.500 kcal/kg
Antracite8.500 kcal/kgGas liquido11.000 kcal/kg
Carbone di legna7.000 kcal/kgPetrolio greggio11.000 kcal/m3
Gas d’acqua2.200 kcal/m3Gas d’aria950 kcal/m3
Gas misto1.200 kcal/m3Metano8.700 kcal/m3